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Sal & Inf - il disoccupato
Le fatiche del disoccupato
di Chiara Giovannini - tratto da Internazionale di Psicologia
Alcune ricerche dimostrano che maggiore è la percezione della possibilità di un futuro ricollocamento, maggiori saranno gli sforzi e la proattività nella ricerca di un nuovo lavoro, mentre a bassi livelli di questa dimensione correlano ansia, depressione e minor sforzo.
A tutto questo deve corrisponde una riflessione di natura sociologica. Quanto gli attuali cuscinetti sociali come le norme in materia di ricollocamento, i decreti contenuti nella Legge Finanziaria votata qualche mese fa, che prevedono vantaggi economici per le aziende che assumono soggetti senza titolo di studio, immigrati regolari e uomini o donne con 50 anni di età, evitano la stigmatizzazione del DE da parte del contesto sociale?
Cosa attualmente incrementa la sensazione da parte delle persone di essere, in fondo in fondo, un po’ responsabili di trovarsi senza un’occupazione?
Per usare le parole di Benarrosh: “Abbiamo sentito parlare molto poco della disoccupazione, ma molto dei disoccupati e di ciò che manca loro” (2000) e Divay aggiunge: “Ogni aiuto alla ricerca di impiego rinvia la persona disoccupata ad incitamenti verso l’introspezione, la moderazione, l’assunzione di responsabilità, l’esercizio dell’autonomia” .
E cosa ha in mano il disoccupato per proteggere l’immagine che ha di sé stesso, per cercare di anticipare eventuali porte chiuse o no da parte del mondo del lavoro?
I lavori di Adorno ripresi da Jost e Banaji (1994) ci vengono in aiuto spiegando come l’utilizzo dello
“Si va avanti solo per raccomandazioni”; “I colloqui di lavoro sono tutti finti, nessuno ti ascolta veramente” diventano esternalizzazioni importanti atti a proteggersi socialmente. I lavori di Croizet e Leyens (2003) parlano di mancanza di competenze quando la persona accetta in qualche modo lo stigma: “Non mi assumono perché non ho la competenza necessaria”, oppure l’ ingiustizia. In quest’ultimo caso la persona da ricollocare riduce gli sforzi da mettere in gioco dissociando, nel tempo, il suo livello di impiegabilità con gli sforzi effettuati. Se fallisce nel trovare lavoro è perché non cerca, non perché non è impiegabile. E se non cerca è perché la discriminazione di cui è oggetto rende questo sforzo praticamente inutile. Il problema della disoccupazione è compito della psicologia spiegarlo in modo approfondito e con la massima sensibilità possibile. Solo attraverso strumenti psicologici attenti e rispettosi di una fase così delicata e traumatica è possibile attivarsi perché la persona diventi nuovamente proattiva e orientata ad un nuovo progetto di vita. Ricollocare una persona vuole dire contestualizzarla là dove questa persona si costruisce, vive e dove il suo contesto è la vera lente di lettura del mondo. Significa considerare il suo livello di “norma di impiegabilità”e la sua emotività a riguardo, perché su quella e non solo sulle sue competenze professionali va fatto leva. Dimenticarsi di questo pezzo vuole dire affrontare il problema solo a metà e monco risulterà essere il progetto intorno alla persona costruito.
BIBLIOGRAFIA:
Benarrosch, Y. (2000). Tri des chomeurs, le necessaire consensus des acteurs de l’emploi. Travail et Emploi, la Documentation Francaise, 81, 9-26.
Divay, S. (2000). L’aide a la recherche d’emploi: une activité en voie de professionalisation?Travail et Emploi, la Documentation Francaise, 81, 67-80.
Jost, J. T., e Banaji, M.R. (1994). The role of stereotyping in system-justification and the production of false consciousness. British Journal of Social Psychology,33, 1-27.
Croizet,J.C. e Leyens, J.P. (2003). Stigmatisation et exclusion sociale. Parigi: Armand Colin.
Di Fabio,A; Lemoine, C;Bernaud J.L (2008). Accompagnamento professionale e counseling degli adulti, Hoepli.
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