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Dietro l'Hiv spunta la lebbra

Preoccupa la segnalazione di manifestazioni lebbrose dopo terapia per l'Aids

La diffusione della terapia antiretrovirale per l'Aids potrebbe portare con sé un effetto collaterale insolito: la lebbra. Sembra infatti che i farmaci contro il virus dell'immunodeficienza acquisita portino alla luce un'infezione lebbrosa nascosta, secondo quanto riportato dal New York Times .

La punta dell'iceberg. La prima segnalazione risale al 2003, in un paziente a Londra, un ugandese in esilio. Da allora i casi descritti in letteratura sono una dozzina, ma potrebbero essere molti di più. Ci sono infatti segnalazioni in Brasile, India, Africa, Caraibi e altre zone ancora: pazienti in terapia antiretrovirale in cui si manifestano lesioni dolorose al volto o perdita della sentibilità alle dita, che fanno pensare alla lebbra. “Questa potrebbe essere la punta di un iceberg” ha detto William Levis, che cura lebbrosi in un ospedale di New York. “Molti medici non pensano alla lebbra, e probabilmente ci sono molti più casi di quanto si pensi”.

Paesi a rischio. Il collegamento fra terapia per l'Hiv e lebbra preoccupa gli esperti, vista la diffusione delle due infezioni nei Paesi poveri: lo scorso anno sono stati 300mila i nuovi casi di lebbra, e 38 milioni di persone hanno il virus dell'Aids. Sette fra i casi riportati in letteratura sono in Brasile, uno dei Paesi ove la lebbra è più diffusa e dove è in atto uno dei programmi di trattamento contro l'Aids fra i più efficaci fra i Paesi poveri. Ma è l'India che preoccupa di più. Fino a non molto tempo fa, contava il 70 per cento dei casi mondiali di lebbra; dopo una campagna durata vent'anni di diagnosi e trattamento, ha dichiarato di averla eliminata come problema di salute pubblica. Questo vuol dire che la media nazionale di casi di lebbra sarebbe inferiore a uno ogni 10mila cittadini, ma rapportando questi numeri all'India, potrebbero significare circa 100mila nuovi casi l'anno. Sull'altro versante, nel Paese vi sono circa 5,2 milioni di persone con l'Hiv. Vi sono poi altre zone a rischio, come Myanmar (ex Birmania), Madagascar, Nepal e Mozambico. Oltre, naturalmente, a regioni di cui non si hanno notizie precise sulla situazione sanitaria. In Congo, per esempio solo lo scorso anno sono stati segnalati 11mila nuovi casi di lebbra.

Attenzione ai segnali di allarme. Secondo gli esperti, la riattivazione del micobatterio responsabile della lebbra, con comparsa dei sintomi della malattia, è da collegare al recupero, grazie alla terapia per l'Aids, delle capacità immunitarie di difesa dell'organismo. “Il trattamento antiretrovirale consente la ripresa del sistema immunitario, e la riattivazione della risposta immunitaria rimette il paziente in condizioni ‘normali'. Se si tratta di un individuo suscettibile alla lebbra e infettato dal micobatterio responsabile, svilupperà questa malattia” spiega a PeaceReporter Salvatore Noto, esperto di lebbra dell'Ospedale San Martino di Genova. Perché la lebbra dia segno di sé non basta dunque solo la riattivazione delle difese immunitarie,  ma anche una sorta di predisposizione dell'individuo, le cui caratteristiche non sono ancora ben definite. L'interazione tra la rinnovata capacità di difesa dell'organismo e il micobatterio della lebbra darebbe origine alle manifestazioni cliniche della malattia. “Si deve pensare alla lebbra quando compaiono lesioni cutanee o neuriti (infiammazione dei nervi periferici, ndr) in malati di Hiv/Aids”.
Valeria Confalonieri

 

La ricerca essenziale

Le malattie dimenticate chiedono farmaci e nuovi approcci alla ricerca scientifica

Uniti nella ricerca di nuovi farmaci per le malattie dimenticate, che nei Paesi poveri portano sofferenza e morte per centinaia di migliaia di persone, in attesa di strumenti terapeutici e di diagnosi migliori: oltre 200 scienziati si sono trovati a Nairobi per parlarne, nella conferenza di fine settembre dell'organizzazione Drugs for Neglected Disease initiative ( DNDi ).

Scambio di conoscenze. “L'incontro in Kenya è stato organizzato per facilitare i contatti fra i diversi operatori sanitari che si trovano nelle zone più disparate del continente a lavorare sul fronte delle malattie che DNDi segue in Africa: leishmaniosi, malattia del sonno e malaria” dice a PeaceReporter Nicoletta Dentico, analista sulle politiche della salute per DNDi . “Scopo della conferenza era farli incontrare e mettere in collegamento scienziati del nord e del sud, per discutere con loro le strategie più adeguate di lotta contro queste malattie. Si è voluto condividere con loro le difficoltà della pratica sul campo e le potenzialità di saperi già esistenti ma non ancora utilizzati. E' stato infine un incontro importante per far conoscere le piattaforme di ricerca che DNDi ha messo in piedi sulla malattia del sonno e la leishmaniosi. Inoltre, sul fronte della malaria, DNDi uscirà entro la fine dell'anno con due nuovi farmaci che rappresentano una soluzione di estremo interesse per i Paesi africani, dal punto di vista sia terapeutico, sia di prezzo”.

Adattare le regole. Gli scienziati provenivano da 23 Paesi diversi, soprattutto africani. L'incontro di Nairobi ha rappresentato per DNDi anche un momento di ascolto importante rispetto ai nuovi interrogativi che il mondo della scienza si trova ad affrontare nella lotta contro malattie sempre più diffuse nei Paesi poveri e sulla necessità di adattare i criteri di ricerca ai contesti in cui i farmaci, o i vaccini, devono essere utilizzati. “Stiamo studiando ad esempio le regole esistenti per le registrazioni dei farmaci” spiega Dentico, “quindi le procedure che riguardano ricerche cliniche, standard per l'approvazione di un farmaco, analisi di rischio e beneficio. La legittima domanda è se gli altissimi standard, definiti a livello internazionale, possano essere applicabili alle malattie tropicali per le quali non esistono spesso farmaci efficaci, o le alternative terapeutiche che abbiamo noi nei paesi ricchi. La nostra ricerca punta a una ricerca clinica capace di coinvolgere sin dall'inizio le comunità locali, per le quali spesso il trial clinico è la sola via di accesso alla terapia”. Il bilancio fra i rischi e i benefici di un farmaco deve essere adattato all'incidenza della malattia, all'esistenza o meno di alternative terapeutiche, alla tipologia delle comunità colpite.

La risoluzione dell' Oms . Sulla necessità di puntare a una ricerca in grado di rispondere ai veri bisogni della popolazione mondiale si basa anche la risoluzione approvata all'Assemblea dell' Organizzazione mondiale della sanità ( Oms ) a maggio 2006. “La risoluzione spinge verso la definizione di una strategia globale per la ‘ricerca essenziale'. Con il termine ‘ricerca essenziale' l' Oms intende seguire la logica utilizzata negli anni settanta per la definizione dei farmaci essenziali, quella dei diritti umani. La ricerca essenziale è quella che risponde alle necessità delle persone e non a quelle del profitto” sottolinea la ricercatrice del DNDi . “Con la risoluzione viene chiesta la costituzione di un gruppo di lavoro intergovernativo per la ricerca di politiche più adatte a rispondere ai bisogni delle popolazioni, soprattutto quelli delle patologie legate alla povertà: malattie tropicali dimenticate, ma anche Aids, malaria, tubercolosi e malattie croniche, come il diabete, che si stanno diffondendo pure nei Paesi poveri. Il primo incontro del gruppo di lavoro è programmato per l'inizio di dicembre: in due anni dovrà arrivare alla definizione di una nuova strategia globale sulla ricerca essenziale” conclude Nicoletta Dentico.

Valeria Confalonieri

Brevetti pericolosi

A rischio l'accesso ai farmaci da parte delle popolazioni più povere


Momento cruciale per il diritto di accesso ai farmaci salvavita da parte delle popolazioni più povere: la compagnia farmaceutica svizzera Novartis ha presentato un ricorso, in discussione all'alta corte di Madras, contro la legge indiana sui brevetti, dopo aver incassato all'inizio dell'anno il rifiuto a brevettare un farmaco usato nelle terapie contro il cancro.

Salute in pericolo. La normativa dell'India, infatti, impedisce alle aziende farmaceutiche di apportare modifiche non significative ai principi attivi già esistenti e brevettare i farmaci come nuovi, ottenendo una ulteriore copertura ventennale per medicinali che non portano alcuna novità. «In tutto il mondo moltissime persone sono curate con farmaci prodotti in India» ha detto Ellen T'Hoen, direttore delle policy della Campagna per l'accesso ai farmaci essenziali di Medici senza frontiere. «Se la Novartis vincerà la causa, la loro salute sarà in pericolo». La vicenda è solo l'ultima tappa di un processo iniziato nel gennaio 2005, quando anche nei paesi poveri sono entrate in vigore le norme internazionali sui brevetti farmaceutici stabilite dall'Organizzazione mondiale del commercio. India, Cina, Brasile e Tailandia si sono unite ai paesi più sviluppati, che già avevano attuato quanto previsto dagli accordi sui diritti di proprietà intellettuale del 1996 (Trips, Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights), nei quali sono stabiliti i criteri per la protezione dei prodotti tramite brevetti.

Generici e diritto d'autore. Per i paesi più poveri l'obbligo scatterà dal 2016, ma le ripercussioni si stanno già facendo sentire. L'India, infatti, ha sempre avuto un ruolo di primo piano nello sviluppo e nell'esportazione di farmaci generici di buona qualità e a basso costo verso i paesi più poveri, che non sono in grado di produrli localmente: ora, invece, è molto più difficile ottenere l'autorizzazione a sviluppare generici per i nuovi farmaci, coperti da brevetto per vent'anni. Visto che tra questi ci sono anche farmaci per Aids, malaria e tubercolosi, dalle organizzazioni umanitarie che operano nei paesi più poveri si è subito alzato un grido d'allarme, mitigato in parte dall'approvazione da parte del governo indiano di un'altra legge, che consente alle industrie locali di continuare a produrre i medicinali che erano già stati immessi in commercio, a fronte del pagamento di un “ragionevole diritto d'autore” al proprietario del brevetto. Una presa di posizione importante, stando alle cifre: la tripla terapia nei paesi poveri costa meno di 200 dollari l'anno per ogni paziente, mentre nei paesi occidentali la spesa si aggira intorno ai 10mila. Non solo: la legge garantisce la disponibilità della versione generica di alcuni antiretrovirali di seconda linea per il trattamento dell'Aids, che costano circa 7 volte più di quelli di prima linea e che, nella versione brevettata, sarebbero inaccessibili per la maggior parte dei paesi del terzo mondo.

Non solo farmaci. Se da una parte le aziende farmaceutiche difendono i propri interessi con tutti i mezzi, dall'altra c'è chi prova ad affrontare il tema del diritto alla proprietà intellettuale attraverso il confronto. Nel mese di giugno ricercatori, imprenditori, giuristi, legislatori e avvocati hanno partecipato a Trieste a una conferenza organizzata dall'Icgeb, organismo intergovernativo che offre ai paesi poveri un centro di eccellenza per la ricerca e la formazione nel campo dell'ingegneria genetica e delle biotecnologie. Gli esperti hanno cercato possibili risposte alle richieste dei paesi poveri nel campo dell'innovazione. «Un importante risultato ottenuto con la conferenza è stato quello di prendere coscienza e analizzare i problemi, ponendo le basi per il dialogo» spiega Decio Ripandelli, direttore delle relazioni internazionali dell'Icgeb. Non solo: la collaborazione tra diverse organizzazioni del settore potrebbe dare il via a progetti pilota di sviluppo di prodotti, protezione e trasferimento all'industria direttamente nei paesi poveri.

Raffaella Daghini

Venticinque anni di Aids

Compie un quarto di secolo la prima segnalazione sull'Hiv

Un quarto di secolo fa, per la prima volta, il mondo medico si interrogava su infezioni insolite in un gruppo di omosessuali: polmoniti, dette atipiche, causate da un germe inusuale. Il lavoro che riportava questi casi uscì su una rivista medica il 5 giugno del 1981, e l'anno successivo venne dato il nome alla malattia sottostante che, indebolendo le difese dell'organismo, apriva la porta a infezioni che, incondizioni normali, non si sviluppano: Aids, Sindrome da immunodeficienza acquisita.
La salita si è fermata. Il virus responsabile fu indentificato ancora più tardi, nel 1984, in Francia da Luc Montagnier e negli Stati Uniti da Robert Gallo. Sono passati 25 anni da quel primo gruppo di casi con polmonite atipica: molto è stato fatto e scritto, ma la piaga dell'Aids continua a mietere vittime. Gli ultimi resoconti dell'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di Aids ( Unaids ) riportano 38,6 milioni di persone nel mondo con la malattia in 126 Paesi valutati. Nel corso del 2005, vi sono state oltre 4 milioni di nuove infezioni e sono morte per Aids, o condizioni patologiche collegate, circa 2,8 milioni di persone. I dati di Unaids hanno lanciato tuttavia un segnale di speranza: il picco di infezioni è stato alla fine degli anni novanta e, per la prima volta dopo 25 anni, il numero annuale di nuove infezioni sembra stabile, non è più in salita. Certo, stabile su 4 milioni di nuovi malati ogni anno. Considerando che, nei Paesi poveri, solo 1,3 milioni di malati hanno accesso alle terapie, il conto è presto fatto. Secondo Unaids, nonostante negli ultimi anni i pazienti in trattamento siano aumentati, al momento solo un malato su cinque nel mondo riceve le medicine necessarie. Triste primato in India. Nella sola Africa Subsahariana lo scorso anno i morti per Aids sono stati due milioni, 2,7 milioni i nuovi casi: due terzi di tutte le persone con Hiv provengono da questa zona. Ma gli ultimi dati accendono il campanello di allarme anche sull'Europa dell'Est e l'Asia. In particolare, l'India detiene ora il triste primato del Paese con il maggior numero di abitanti sieropositivi, 5,7 milioni alla fine del 2005, contro i 5 milioni e mezzo del Sudafrica. Valutando tuttavia i valori percentuali rispetto alla popolazione dei due Paesi, il 18,8 percento dei sudafricani adulti vive con l'Hiv, contro lo 0,9 percento in India. Anche per quanto riguarda la possibilità di cura il quadro in India è preoccupante: per Unaids riceve antiretrovirali solo il 7 percento dei pazienti Indiani che ne avrebbero bisogno, l'1,6 percento delle donne in gravidanza il trattamento per impedire la trasmissione al figlio.

Bambini dimenticati. Secondo il Global Movement for Children , un movimento internazionale che unisce organizzazioni impegnate a costruire un mondo a misura di bambino, nove piccoli su dieci sieropositivi sono il risultato di una mancata prevenzione della trasmissione da madre a figlio, che ridurrebbe il rischio di infezione a meno del 2 percento. Nel mondo, nemmeno una futura mamma su dieci riceve le medicine necessarie a proteggere il figlio che aspetta. Il Global Movement for Children , in base a un rapporto di Oxfam , Plan International , Save the Children , Unicef , World Vison ENDA Tiers Monde , Latin America and Caribbean Network for Children , richiama l'attenzione sull'infanzia: la maggior parte dei bambini sieropositivi muore prima dei cinque anni di età, vi sono troppe poche formulazioni di medicine adatte per l'infanzia e la ricerca di nuovi composti è concentrata sull'età adulta.

Valeria Confalonieri

 

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