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INTERVISTE A ALEX ZANOTELLI E ENZO NUCCI
Kenya: nuova emergenza democratica
di Bruna Iacopino

“Sono questi momenti decisivi per il Kenya, un paese che era riuscito a diventare, dopo la guerra d'indipendenza uno dei taselli più stabili nell'ampio scacchiere dell'Africa Orientale.” Esprime preoccupazione Padre Alex Zanotelli profondo conoscitore della realtà Keniota. Preoccupazione che si accompagna ad una serie di riflessioni fondamentali per riuscire a comprendere l'ondata di violenze che in queste ore sta scuotendo il paese: “ Quando si parla delle violenze di queste ore non si può tralasciare l'altra grande violenza , quella di un sistema politico-economico che costringe una larga fetta di popolazione a vivere al di sotto della soglia di povertà...
Basti considerare che solo a Nairobi 3 milioni di persone sono stipate all'interno di un misero spazio equivalente al 2,5% del territorio cittadino. Baraccopoli sterminate, con l'obbligo di pagarel'affitto, e per molti nemmeno la possibilità di una baracca… E questo succede a Nairobi, la seconda capitale africana in termini economico-finanziari…”
Kibaki, presidente rieletto con dubbie elezioni, aveva vinto la sua prima candidatura con una campagna elettorale mirata. “ Aveva detto basta alla corruzione, al nepotismo, al clientelismo dilagante, ma non è stato capace di mantenere nessuna delle promesse fatte in sede elettorale dando adito al malcontento diffuso; il suo oppositore politico, Odinga, non ha fatto altro che cavalcare il malcontento.” Se da una parte si grida allo scontro etnico, dall'altra non si può dunque fare a meno di richiamarsi alla spartizione della ricchezza: “Kibaki rappresenta l'etnia dei Kikuyu, la maggiore del paese, mentre Odinga, un tempo alleato di Kibaki, proviene dall'etnia Luo, numericamente consistente… I Kikuyo detengono la maggior parte della ricchezza (anche se i maggiori azionisti provemgono dall'India), sono quelli che fanno affari, ai Lao, invece, non è toccata la stessa fetta di torta: era inevitabile che la polveriera scoppiasse com'è scoppiata”.
E a rimetterci sono sempre loro, i poveri, gli emarginati: “ Gli episodi più efferati di violenza si sono scatenati appunto nelle baraccopoli, politicamente volute per mantenere la manovalanza a costi bassissimi…”
Contrariamente alle previsione più nere, Padre Zanotelli si mostra, però, ottimista: “Non credo che in Kenya si possa verificare quello che è avvenuto in Ruanda o in Sudan, il paese ha una maturità maggiore e lo ha dimostrato con le ultime elezioni che si sono svolte in maniera ordinata e con grande partecipazione popolare, gli stessi Kikuyu ( i civili e non la cerchia di Kibaki) non vogliono un'altra guerra, è ancora troppo fresco il ricordo della terribile guerra di indipendenza… Le soluzioni potrebbero essere diverse: le dimissioni di Kibaki ( anche se non credo che ciò avverrà) oppure nuove elezioni sotto controllo internazionale. Difficile allo stato attuale trovare una mediazione tra le parti, anche se credo che un ruolo fondamentale possa essere svolto dalle chiese in virtù del fatto che il 70% della popolazione si dice cristiana”.
Più caute le riflessioni di Enzo Nucci , dalla sede Rai di Nairobi. Nessuna novità rilevante al di là della convocazione, oggi, del Parlamento da parte del presidente Kibaki per fare il punto sulla situazione. “Le notizie circolano con estrema difficoltà, i media  non possono coprire in nessun modo gli scontri interetnici, e il divieto non è stato rimosso nonostante le proteste, è impossibile mettere piede all'interno degli slam e anche i ragazzi del posto hanno difficoltà ad andare in giro con le telecamere, sono arrivati persino ad oscurare alcune parabole nei condomini per evitare che si potesse vedere Al Jazeera che in questi giorni ha fatto un ottimo lavoro.”
Anche Nucci condivide la visione di Padre Zanotelli: “Il Kenya non possiede una classe dirigente capace, Kibaki lo ha dimostrato non mantenendo le promesse elettorali, mentre Odinga, forte del disappunto nei confronti di Kibaki aveva riunito attorno a se una vasta opposizione interetnica, ricevendo consensi anche dai kikuyo: sembrava fosse la piattaforma giusta per un confronto democratico…”
Le vicende gravi di questi ultimi giorni, hanno invece dimostrato come lo spauracchio del conflitto interetnico sia venuto di nuovo a galla, probabilmente manipolato ad hoc, non per niente – conferma Nucci: “Gli scontri più feroci avvengono all'interno degli slam, dove la povertà più assoluta convive necessariamente con la criminalità. Da parte loro, i due contendenti si lanciano in reciproche accuse di genocidio”. Però la gente stamattina è tornata di nuovo per le strade a Nairobi: “I civili hanno voglia di normalità e un bisogno disperato di lavorare, molti di loro vivono a giornata e non lavorare per un giorno significa non mangiare, di contro, sempre a Nairobi, c'è una piccola borghesia che sta crescendo e che un minimo di reddito lo ha anche, oltre ad avere una certa maturità politica, ulteriore freno alla barbarie di questi giorni”.
Si torna dunque al ruolo dei media, soprattutto internazionali: “In Kenya si sta vivendo una vera e propria emergenza democratica, finora si guardava ad esso come avamposto della democrazia per il continente nero, adesso la situazione sta precipitando a discapito non solo dell'economia locale che aveva conosciuto un discreto boom economico ma anche e soprattutto a discapito dell'economia internazionale… non dimentichiamo che qui vivono molti europei, ci sono comunità inglesi, italiane ma anche americane e indiane. La stampa deve illuminare a giorno quello che sta accadendo, la pressione internazionale deve essere massima affinchè i due trovino un compromesso, è l'unico modo per uscirne, giacchè Kibaki non ha intenzione di dare le dimissioni”.
02/01/2008
Mood tense in Kenya 4:27
Archbishop Desmond Tutu arrives in Kenya to mediate Kenya's election dispute.
CNN's Paula Newton reports.
Kenya prepares for banned rally 2:42
Opposition leader Raila Odinga is pressing ahead with banned rally.
CNN's David McKenzie explains.
 
Genocide fears in Kenya 2:21
There is further violence and fears of genocide in Kenya after hotly contested election results.
ITN's Neil Connery reports
 
Kenya - 03.1.2008
Col fiato sospeso
Scontri tra polizia e sostenitori di Odinga a Nairobi, ma nel Paese la situazione migliora gradualmente
Si è conclusa con un fiasco la manifestazione organizzata dal leader dell'opposizione, Raila Odinga, a Uhuru Park, nel centro della capitale Nairobi. “I manifestanti arrivano da tutte le parti, ma la polizia ha cordonato il parco e non fa avvicinare nessuno”, riferiva per telefono stamane a PeaceReporter A.A., un somalo che preferisce rimanere anonimo per questioni di sicurezza. “C'è polizia ovunque ma i suoi sostenitori sono già stati dispersi a colpi di idranti e lacrimogeni”. Tanto che il leader dell'opposizione, poco dopo le 14.00 ora locale, ha preferito annullare il raduno. Nella città negozi e uffici sono deserti, dappertutto uomini delle forze di sicurezza.
In vista dei già previsti incidenti, oggi Nairobi è una città fantasma. Poche macchine per strada, poca gente a parte i manifestanti. “Molti negozi sono chiusi, altri sono stati saccheggiati”, prosegue A.A. “Si vedono anche reparti scelti dell'esercito, sono loro che stanno lanciando le cariche più pesanti contro i civili. La situazione è tesa, ma tutto sommato migliore di quanto ci si potesse aspettare”.
Negli slum la tensione rimane alta: “a Mathare e Kibera ci sono stati nuovi scontri nella notte”, fa sapere a PeaceReporter S.K., un Luo costretto a lasciare la propria casa a séguito delle minacce ricevuta da parte delle gang di ragazzi Kikuyu. “Stanotte sono venuti a bussare alla mia porta, mi sono dovuto nascondere sotto il letto” prosegue. “Per fortuna mia moglie parla Kikuyu fluentemente e li ha convinti ad andarsene. La polizia è riuscita a portarmi via da Mathare, non potevo rimanere. Il mio Kikuyu stentato e la mia pelle molto scura mi identificavano subito come un Luo”. Le due principali etnie tra le 40 che compongono il Kenya, Kikuyu e Luo si scontrano ormai da giorni al fianco dei loro sostenitori, il presidente Mwai Kibaki da una parte e Raila Odinga dall'altra, protagonisti dell'elezione più contestata nella storia del Paese.
Nonostante le aperture da parte di entrambi gli schieramenti politici e le pressioni della comunità internazionale, tra i due leader è guerra aperta. Odinga non vuole rinunciare alla presidenza, alla luce dei brogli che hanno caratterizzato le elezioni dello scorso 27 dicembre, da cui Kibaki è uscito vincitore con un margine di poco più di 200.000 voti. “I tempi sono maturi per un incontro, è la gente che lo chiede”, prosegue S.K.
L'onda lunga dei massacri avvenuti tra il weekend e sabato, in cui almeno 300 persone sarebbero morte negli scontri tra Kikuyu e Luo, sembra rifluire, tanto da spingere il governo a sostenere che gli incidenti avrebbero colpito solo il 3 percento del Paese. Rimane però molto alto il numero degli sfollati, circa 100.000 secondo l'ultimo conteggio della Croce Rossa, molti dei quali senza assistenza. Anche a Nairobi la situazione non è migliore: fonti di PeaceReporter hanno riferito che almeno 400 famiglie sarebbero accampate nei pressi dell'aeroporto, sotto la protezione dell'esercito che ha alcune basi nella zona.
Matteo Fagotto
 
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ELEZIONI - KENYA SULL'ORLO DEL CAOS. SALE A 124 IL BILANCIO DELLE VITTIME da REPUBBLICA.IT 31/12/2007
ELEZIONI - ODINGA NON RICONOSCE I RISULTATI E INVOCA LA PIAZZA - (PEACEREPORTER)
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ELEZIONI - Kibaki confermato presidente - Violenti tumulti nella capitale
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ELEZIONI - KIBAKI, LA SCHEDA
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ELEZIONI - commenti
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Kenya post-election violence: How can we defuse the crisis? (kizito.blogsite.org)
2 gennaio 2008
I quasi duecento morti accertati che abbiamo visto in questi giorni sulle strade del Kenya sono il risultato di una politica malata, fondata sull' idolatria del potere e dei soldi, una religione che e' stata alimentata dagli uomini politici keniani fin dall' indipendenza.
Mentre scrivo, il mattino del 2 gennaio, la tensione per le strade di Nairobi , in particolare di Kibera, e' diminuita. Evidentemente la gente ha bisogno di tornare alla vita normale, di guadagnare qualche soldo. Ma le notizie che giungono dal Western Kenya continuano ad essere allarmanti. D' altro lato i problemi che hanno dato origine alle violenze rimangono, e nelle prossime settimane, quando il parlamento dovra' essere convocato, molti nodi politici verranno al pettine, ed e' probabile che la tensione torni a salire.
A questo punto la possibilita' che ci siano stati dei brogli elettorali appare probabile. Ora emerge chiaramente che durante il giorno dell' elezione ci sono state intimidazioni, non necessariamente violente, e che in parecchi seggi sono stati comperati dei voti. Questo riguarda entrambi i partiti che erano in corsa per le presidenza, PNU e ODM, ma non dovrebbe aver influenzato i risultati in modo determinante, anche se e' un' ovvia indicazione di un atteggiamento non democratico. Cio' che potrebbe essere stato determinante invece potrebbero essere stati dei brogli al momento della conta generale dei voti. Ma finora nessuno e' stato capace di dare prove chiare e sttribuire responsabilita' precise. Personalmente ho sentito persone che raccontano di voti comperati dall' ODM sula costa, ma che non sono disposti a esporsi. I documenti che l' ODM ha assicurato di possedere e che proverebbero brogli su larga scala al momento della conta non sono finora stati esisbiti.
Per capire l' attuale contesto politico keniano bisognerebbe risalire almeno al 1982, quando, dopo un tentativo di colpo di stato, l' allora Presidente Moi ha traformato il Kenya in una dittatura brutale, pur mantenendo alcuni elementi di facciata che lo potevano spacciare per una democrazia. Il tutto, e' bene notare, sempre restando fedele alleato e protetto dalla Gran Bretagna e degli USA , e amico dell' Occidente. Sarebbe troppo lungo seguire dall' ‘82 ad oggi la carriera politica dei due principali protagonisti della crisi odierna, Mwai Kibaki e Raila Odinga. Basti dire che da allora ad oggi entrambi sono stati alleati di Moi e avversari di Moi, alleati con tutti e avversari di tutti, anche tra di loro. Per entrambi non si puo' parlare di una posizione ideologica, ma sempre e solo di alleanze per arrivare al potere. Entrambi hanno una rilevantissima fortuna personale, che in qualche caso non esistano ad ostentare. E' famosa la Hummer di Raila, un fuoristrada che costa diverse decine di migliaia di euro e che fa due kilometri con un litro, usato da Raila per visitare Kibera, il piu' grande slum di Nairobi, che fa parte del suo collegio elettorale. Per entrambi, credere che siano motivati da desiderio di servire il paese o che siano paladini delle democrazie e dei poveri, e' cadere vittima di una pericolosa illusione. Il loro atteggiamento e' descritto bene nell'editoriale del 1 gennaio del The Nation: “Neither the Party of National Unity nor the Orange Democratic Movement during the campains demonstrated any particular restraint or regard for the country's stability. The mantra appears to have been: We either rule it or burn it.” (Ne il Party of National Unity ne l' Orange Democratic Movement durante le campagne (elettorali) hanno dimostrato particolare controllo o rispetto per la stabilita' del (nostro) paese. Il mantra sembra essere stato: o lo governiamo o lo bruciamo”. L' incontrollata sete di potere, e di proteggere col potere le ricchezze piu' o meno legalmente acquisite, e' il motore dell' attivita' politica di questi partiti.
Detto questo, bisogna fare delle distinzioni. Mwai Kibaki ha quando e' andato al potere cinque anni fa, ha fatto delle riforme importanti, come l' educazione gratuita per gli otto anni di scuola elementare, come il garantire la liberta' di espressione e di stampa (per cinque anni non abbiamo avuto prigionieri politici e tanto meno assasini politici come avveniva con Moi, e mai in Kenya una campagna elettorale e' stata libera come quella dello scorso mese, etc), come una serie di provvedimenti economici che hanno fatto ripartire l' economia del paese, che negli ultimi anni di Moi aveva una crescita negativa e invece dal 2004 e' cresciuta di oltre il 5 % all' anno. Due i sono i grandi falllimenti di Kibaki. La corruzione pervasiva, ereditata dai 24 anni di malgoverno di Moi, non e' stata combattuta con l' efficacia e la determinazione che il cittadino comune avrebbe voluto. E' stata si ridotta di molto, ma resta un cancro che pervade tutta la sociata' keniana. Inoltre, la nuova costituzione promessa da Kibaki appena eletto non e' stata ancora approvata, e la conseguente promessa di decentralizzazione del potere non e' stata onorata.
Dal canto suo Raila Odinga, andato al governo come membro della coalizione di Kibaki cinque anni fa, e' poi passato all' opposizione sulla questione della nuova costituzione, e e' riuscito a far bocciare la costituzione proposta da Kibaki con un referendum due anni fa. L' ODM e' nato dallo slancio di aver fatto bocciare la costituzione e da allora Raila ha accentrato il potere del movimento ed ha esasperato la questione tribale. Da oltre un anno ormai la parola d' ordine fra i luo, che e' l' etnia di Raila e che ha un peso proponderante nel ODM come invece i kikuyo sono le' etnia di Kibaki con un peso preponderante nel PNU, e' stata “e' arrivato il nostro turno di governare il paese” per poi trasformari piu' recentemente in “se perdiamo le elezioni vuol dire che ci sono stati brogli”. Raila poi durante la campagna elettorale ha giocato due carte pericolose. Prima ha promesso di implementare il “majimboism”, una specis di regionalismo che era stato negli anni novanta proposto da Moi e rifiutato da Raila, senza specificare che contenuti avesse questo majinboism, lasciando cois temere, anche riferendosi alla storia personale di Raila, che si trattasse concretamente di una specie di rigido regionalismo che avrebbe frazionato il Paese. Successivamente ha firmato con I notabili della comunita' musulmana un Memorandum of Understandig i cui contenuti non sono mai stati divulgati con chiarezza. I suoi avversari, e molti cristiani, hanno comunque questo MoU comunque come un errore perche fa una distinzione fra i cittadini kenyani basandosi sull' appartenenza religiosa, e questo e' gia' contro la costituzione in vigore, cosi come contro il progetto di costituzione dell' ODM.
Kibaki e il suo gruppo non hanno trovato di meglio che reagire a questa campagna che alzando steccati e lasciandosi imprigionare nella trappola delgi stereotipi etnici. Questa etnicizzazione della politica e' cosi responsabilita' esclusiva dei lidears. Per citare ancora l' editoriale del Nation, indirzzandois a Kibaki e Raila, afferma: “Never has there been so much animosity between people who have lived together as good neighbors for many years. The chaos we are now experiencing is the handiwork of the tribal, economic and political elite, which identify with you.” (”Non c'e' mai stata tanta animosita' fra gente che ha vissuto insieme per molti anni come buoni vicini. Il caos che stiamo vivendo ‘e il prodotto dell' elite tribale, economica e politica che si identifica con voi”).
Che l'aspetto etnico sia diventato centrale non lo si puo' negare. Inutile girare intorno al problema. Odinga in primo luogo, ma anche Kibaki e il suo partito, negli ultimi tre anni, per ragioni di opportunita' politica personale, hanno fatto tutta una serie di passi intenzionali, e a volte magari solo passi sbagliati, che hanno alimentato l' animosita' etnica.
Entrambi I partiti usano salturiamente, sopratutto nei momenti cristici, l' appoggio dei “mungiki” e delle sqaudre organizzate e pagate di giovani disoccupati e disperati.
I mungiki sono nati all' inizio degli anni novanta come una comunita' di kikuyo che voleva tornare alla religione ancestrale, la venerazione di Ngai (Dio) rappresentato dal monte Kenya , ecc. Lentamente questo gruppo e' degenerato in una specie di piccola mafia che a Nairobi ha controllato per esempio alcune della linee di trasporto, e che riesce a mobilitare gli adepti anche per azioni violente e criminali. In questo gruppo ci sono ora anche non-kikuyo ma tendenzialmente si identificano con la difesa delle comunita' e degli interessi kikuyo. A questa setta parareligiosa si contrappongono le squadre di giovani disoccupati di Kibera controllate da Raila Odinga, e delle quali Raila si e' sempre servito per provocare disordini di piazza, piu' di una volta all' evidente ricerca dei morti da poter poi usare per I propri scopi.. Sono i due volti peggiori dello scontro in atto.
Non sono sicuro di cosa sia successo nelle altre localita', le notizie sono frammentarie e sempre di parte. A Nairobi pero' posso dire che la maggioranza delle vittime di questi ultimi giorni on sono state uccise negli scontri con la polizia, ma da azioni organizzate da questi due gruppi. Cosi a Kawangware, dove i kikuyo sono prevelenti, hanno attaccato case e piccole attivita' artigianali dei luo, e l' opposto e' avvenuto a Kibera. Purtroppo poi come sempre capita a farne le spesa sono le persone inermi e innocenti. Il mattino del 31, dopo la notte di peggiori violenze che siano finora avvenute a Kibera, un amico Kamba mi raccontava terrorizzato di aver visto a poche decine di metri dalla sua baracca di Kibera i corpi di 4 suoi vicini e conoscenti, kikuyo, che erano stai sgozzati con un coltello da cucina. Lo stesso sta avvenendo in eastern Kenya , cme mi ha testimoniato una volontaria italiana: I negozi e le case dei pochi kikuyo che vi vivono sono metodicamente attaccati e bruciati e i proprietari “invitati” e rientrare nella loro regione. Un majimboism della peggior specie.
Questa crisi l' abbiamo vista arrivare, ma nessuno na aveva capito la poteziale distruttivita' e la carica di tribalismo che stava prendendo. I sondaggi che sono stati pubblicati dai media Kenyani negli ultimi mesi facevano vedere come la gente continuasse ad avere una sostaziale fiducia nel presidente e sempre meno fiducia nel sul partito. Mentre molti che erano favorevoli ai cambiamneti promessi dall' ODM erano meno entusiasti verso Raila, percepito come un uomo politico con tendenze dittatoriali. Cosi oggi i risultati delle elezioni, prendendo come autentici quelli ufficiali, rendono il paese ingovernabile, con un presidente nel quale sono accentrati molti poteri ma che e' un minoranza in parlamento, e che quindi non puo' governare, e con una rivalita' tribale che e' sfuggita probabilmente anche al controllo di chi l' ha scatenata.
E le due parti sembrano ormai fisse su posizioni che non ammettono il dialogo. Un amico giornalista kikuyo mi pare possa rapprentare una mentalita' comune: “Io ho votato nel mio collegio elettorale per un parlamentare dell' ODM, perche' credo che l' ODM possa avere in parlamento una funzione importante di controllo su un possibile strapotere del Presidente, ma non accetterei mai Railia come Presidente. Con lui al potere fra cinque anni non avremmo elezioni truccate. Non avremmo elezioni, punto e basta”.
Come sbloccare la situazione?
Innazittutto e' importante che Kibaki e Raila accettino di muoversi nella legalita', rispettando la legge la costituzione vigente, rinunciando entrambi alle manifestazioni di piazza che inevitabilmente provocherebbero morti e feriti. E servirebbero solo ad inasprire le divisioni e creare un piedestallo per i due leaders: I miei morti sono piu' dei tuoi.
Il parlamento, cosi come risulta dai risultati elettorali annunciati, deve essere convocato e la Giustizia deve lavorare indipendentemente per esaminare le reciproche accuse di brogli. Ma non basta, Kibaki deve accettare una seria revisione delle elezioni e la riconta dei voti con la presenza di un monitoraggio internazionale. Non c'e' altra alternativa se vuole garantire la sua legititmita'.
Ma la cosa piu' importante e; che Kibaki e Raila dialoghino. Kibaki finora ha reagito con la repressione, Raila punta sulle manifesta zioni di piazza che gli diano legittimita'. Ma e' una strada di confronto che non puo' portare lontano e che rischia di bloccare il paese in un conflitto irrisolvibile. La diplomazia internazionale deve aiutare il Kenya , Gran Bretagna e USA devono aiutare a avviare il dialogo, la Comunita' Europea puo' avere un influnza inportante. L' Unione Africana potrebbe aiutare a prender tempo. Tutte le possibili pressioni devono essere fatte su queste due persone e i partiti che rappresentano finche' accettino il fatto che il Kenya e' piu' importante di loro, e che devono collaborare.
Ma in ultima analisi la pace non puo' venire dal di fuori, deve nascere dal di dentro, per poter superare definitivamente le difficolta' e gli odi seminati negli ultimi mesi e nelle ultime settimane. Un' ipotesi possibile sarebbe quella di recuperare il “terzo uomo”, Kalozo Musyoka, che e' cosro per la presidenza ottendneo quasi messo milione di voti. Appartiene ad un' etnia minoritaria, non ha mai usato ne pubblicamente ne privatamente, da quanto si sa, il linguaggio dell'odio tribale, ha competenza e cpnoscenza della situazione politica del Paese. Potrebbe diventare il mediatore interno ideale, capace di far muovere avanti un processo di riconciliazione che non puo' essere imposto dal di fuori.
Il dialogo fre le due parti deve cominciare al piu' presto. Non si puo' aspettare. Bisogna evitare la manifestazione di piazza di domani. Se questa manifestazione dovesse andare avanti, che il governo si opponga o no, non ci sono dubbia che scatenera' un nuovo ciclo di violenza e morte che rendera' ancora piu difficile la possibilita' di una riconciliazione.
Il Kenya che Vorremmo (kizito.blogsite.org)
Il 3 gennaio la tensione e' cresciuta di ora in ora. La potevo misurare dal prezzo delle uova. Prima delle elezioni un uovo costava 6 scellini. Il mattino del 3 ne costava 8, nel pomerigio 10. A sera, dopo l' annuncio dell' opposizione che il 4 ci sarebbe stata un' altra manifestazione di protesta, un uovo costava 12 scellini.
Ieri, il mattino del 4 verso le due ricevo un sms: “Kizito, siamo Kevin e Kenneth, i due acrobati. Vicino alla nostra casa di Kawangware c'e' un grosso gruppo di mungiki, stanno progettando di dar fuoco a tutte le case dei luo. Possiamo rifugiarci da te, a Kivuli?”
Alle sei vado in auto verso la citta'. Strade vuote. L' Uhuru Park circondato come ieri da poliziotti in tenuta antisommossa. Le schegge delle vetrine rotte di un supermercato che ieri e' stato saccheggiato sono ancora sparse nel parcheggio.
Mi chiama padre Wanyoike: “L' incontro dei giornalisti locali che avevamo pianificato per stassera deve essere cancellato. C'e' una tensione enorme e tutti temono il peggio”.
Poi, verso le nove, si incomicia a capire che la manifestazione non ha nessuna possibilita' di successo, e la tensione cala. Arrivano notizie che i manifestanti che si muovono verso l' Uhuru Park sono poche centinai. Gia' le migliaia che avevano manifestato il 3 erano immensamente lontani dal milione che Odinga aveva promesso di mettere in piazza, ma oggi sembra proprio che la gente sia stanca, prevale il bisogno di normalita'. Girano anche notizie che le due parti hanno deciso di dialogare. Alle dieci visito tre grandi supermercati che hanno appena riaperto le porte ai pochissimi clienti. Ma alle undici si e' sparsa la voce della riaperture, le strade si riempiono di gente e di traffico, le donne degli slums arrivano con borsoni miracolosamente colmi di pomodori, cipolle, spinacci, e improvvisano mercatini anche sulle arteri pricipali. La gente si ferma, si contratta, i volti si distendono e si aprono in grandi sorrisi. E' l' Africa che conosco e amo. Forte, resiliente, amica, capace di sorridere anche nel dolore.
Faccio pranzo con un gruppo di acrobati, un incontro programmato da quindici giorni. Ken, lo stesso che dodici ore prima mi aveva mandato l'sms di panico ha un' idea: “Domani invitiamo alla Shalom House tutti gli acrobati di Nairobi e facciamo una grande piramide umana. Ogni membro della piramide deve essere di una etnia diversa. E poi facciamo un comunicato di pace. Noi acrobati ogni volta che ci esibiamo dobbiamo avere una fiducai totale nel team, la nostra vita e' nelle mani delgi altri. Cosi deve esswere il Kenya ”
Ha appena finito di parlare che la radio annucia che i tentativi di mediazione sono iniziati e Kibaki e' perfino disposto ad una ripetizione delle elezioni.
Le difficolta' politiche restano, e le posizioni delle due parti non sono per niente addolcite. Ma ci si parla, e si spera che i machete torneranno ad essere usati solo per tagliare la legna.
Poi la doccia fredda. Dal Western Kenya , da sms e telefonate arrivano notizie raccapriccianti. Si spera non siano vere, ma ancora una volta la notte e' piena di fantasmi.
 
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La pace non è un evento meteorologico
di Flavio Lotti*
02/01/2008
La pace, come la guerra, non è un evento meteorologico. Si può sperare che ci sia il sole quando si vuole andare a fare una scampagnata ma non si può sperare che la pace accada. La pace, come la guerra, è il risultato possibile di molte volontà e azioni. Così è anche per il Kenya dove una terribile ondata di violenza, in pochi giorni, ha provocato più di trecento morti accertati (ma nessuno ha ancora potuto verificare il numero reale), oltre centomila sfollati, numerose distruzioni materiali e ha gettato nel panico decine di milioni di persone per lo più già costrette a vivere in condizioni miserabili. La domanda è, allora, ancora una volta, la stessa: cosa stanno facendo l'Italia, l'Europa e l'Onu per evitare che il Kenya resti imprigionato nella spirale della violenza? I primi mediatori internazionali sono al lavoro. Ieri è stato il giorno dei premi nobel per la pace Desmond Tutu e Wangari Matai. Oggi è arrivato a Nairobi l'ambasciatore americano. Perché il Segretario Generale dell'Onu e il Consiglio di Sicurezza non hanno ancora attivato nessuna missione? Cosa sta facendo l'Italia in seno al Consiglio di Sicurezza? Tutti questi attori possono avere un ruolo importante. Perché non si attivano adeguatamente? La crisi politica, che si è aperta all'indomani della proclamazione dei risultati elettorali, non è irrisolvibile. Ma il fattore tempo è decisivo per evitare lo scontro politico si trasformi in un selvaggio scontro etnico. I due principali leader devono essere spinti a negoziare subito una soluzione. Per questo oggi abbiamo deciso di manifestare davanti all'ambasciata romana del Kenya. Per dire che quanto sta accadendo a Nairobi ci interessa e ci preoccupa. Per dire a quelli che hanno la responsabilità di intervenire che devono farlo subito. Che non si può trattare solo della sicurezza degli italiani che sono in vacanza in quel paese o della difesa dei nostri interessi economici. Che dobbiamo fare l'impossibile per aiutare la gente del Kenya, e in particolare dei più poveri, a costruire il proprio futuro in pace. Che gli sfollati e le vittime delle violenza non possono essere abbandonate a sé stesse. Che ci impegniamo a sostenere tutti coloro che operano per la pace e la convivenza in Kenya. Che ci impegneremo a sradicare la miseria che sta alle radici di così tante insopportabili sofferenze.
Quella di oggi è la nostra prima manifestazione di pace del 2008, Anno dei diritti umani. E' dedicata all'ennesima emergenza politica e umanitaria dell'Africa in un tempo in cui le emergenze internazionali sono diventate un fatto quotidiano. Non posso accettare l'idea che passeremo anche quest'anno a rincorrerle, aspettando una politica e delle istituzioni che non arrivano mai.
* Coordinatore nazionale della Tavola della pace
 
 
 
 
 

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