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gennaio, ma è riuscita a tornare a Karungu solo verso la metà del mese, percorrendo in bicicletta, insieme alla nonna, i 70 chilometri che separano il centro dal suo villaggio. Emelda è luo, come la maggior parte dei 50 bambini ospiti del Dala Kiye. Luo sono anche i 300 alunni che frequentano la scuola dei missionari e i pazienti dell'ospedale, così come la popolazione di Karungu, distretto di Migori, nella regione occidentale del Kenya. Sono luo i sostenitori di Raila Odinga, il candidato alle presidenziali che contesta l'elezione di Mwai Kibaki, kikuyo.
 
La maggior parte degli infermieri del Saint Camillus Mission Hospital, invece, è kikuyo. Lo sono gli insegnanti della scuola e chi gestisce molti negozi nelle cittadine vicine, Kisii e Kisumu. A Karungu la cultura luo è molto radicata, i bambini imparano lo swahili e l'inglese solo se frequentano la scuola, e anche gli adulti preferiscono comunicare nella lingua della propria etnia, sono molto orgogliosi della loro storia e delle loro usanze. I kikuyo pensano che i luo siano troppo legati a certi riti ancestrali e a vecchie credenze, aver avuto la possibilità di studiare rende i kikuyo più preparati e più liberi da alcune tradizioni. Nonostante le differenze, però, luo e kikuyo convivono a Karungu, soprattutto quando hanno un progetto in comune, come l'ospedale, la scuola e il centro per i bambini.
Le tensioni sono cominciate poco prima delle elezioni, come racconta padre Emilio Balliana, amministratore dell'ospedale e del Dala Kiye. Padre Julius si stava recando a casa, in prossimità di Kisii, per votare, quando il pulmino della missione è stato assalito da alcuni giovani a Ndhiwa, 30 chilometri da Karungu. I ragazzi, riconosciutolo, hanno risparmiato il sacerdote, ma hanno picchiato due membri dello staff e un padre passionista che viaggiava con loro, sfasciando il pulmino. Dopo il risultato elettorale, si sono verificati molti casi di violenza, da parte di entrambe le etnie. “Alcuni giovani di Oodi, un villaggio qui vicino” narra padre Emilio, “hanno attaccato la stazione di polizia che si trova di fronte all'ospedale, con l'intento di uccidere uno degli agenti, accusato di riscuotere tangenti. I poliziotti hanno reagito e lo scontro ha causato la morte di quattro ragazzi e una quindicina di feriti gravi. Tre di loro erano stati colpiti con armi da fuoco, gli altri portavano le conseguenze delle percosse subite dai poliziotti, che dopo l'episodio hanno lasciato il villaggio. Abbiamo ricoverato anche due ragazzine, picchiate dagli agenti nella loro casa.”

In concomitanza con l'aumento dei pazienti, si è verificato un calo del personale. “Alcune delle infermiere che si erano recate nei loro villaggi a votare non sono ancora tornate” continua padre Emilio “mentre chi del nostro staff è originario di Kisii o è di etnia kikuyo è dovuto scappare a causa dell'ostilità e dell'aggressività della popolazione.”  Karungu è lontano dalle città, e le violenze esplose all'indomani delle elezioni l'hanno isolato. “Per giorni è stato impossibile spostarsi, le strade non erano sicure e le nostre provviste sono diminuite. Abbiamo dovuto sospendere, momentaneamente, il programma di sostegno alimentare che coinvolge centinaia di bambini della zona. Sono circa 250 mila le persone alla fame.”

Karungu fa parte della provincia di Nyanza, una delle più colpite del Kenya dall'Aids. Circa un terzo della popolazione è sieropositivo. “Mancano i medicinali per curare i feriti e chi si ammala perché indebolito dalla mancanza di cibo” racconta padre Emilio. “E diminuiscono le scorte di antiretrovirali, mettendo in pericolo tutti coloro che seguono la terapia, a cominciare dai bambini del centro.” Il Dala Kiye ha perso numerosi pazienti a causa della guerra civile. Solo qualcuno è riuscito a tornare, chi camminando per due giorni, chi pedalando per chilometri. Per qualche giorno le strade sono state più sicure, i missionari hanno potuto raggiungere Kisii e fare un po' di spesa. “Ma adesso - conclude  il camilliano - è sempre più difficile raggiungere le città più grandi per rifornirsi. Mancano siringhe, medicinali, manca il cibo. Le scuole sono ancora chiuse, per esempio. Molti insegnanti non sono ancora rientrati dalla fine di dicembre. E non arrivano i giornali, sappiamo a malapena cosa succede nel resto del Paese. Il futuro è davvero incerto".

 

 

 
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