Si può morire perchè accusati di "omosessualità". In Iran si può! Nei mesi scorsi Makwan, un 21enne iraniano condannato a morte per il reato di “lavat” (letteralmente "sodomia") è stato salvato dal boia grazie alla mobilitazione internazionale di tanti uomini e donne. Il caso e' stato recentemente riesaminato dai giudici iraniani e la condanna è stata convalidata. L'esecuzione e' fissata a giorni. Noi ci chiediamo "si può essere uccisi solo perchè gay, per eseguire un imperativo morale, culturale o religioso?". La pena di morte è un "abominio" ma in questo caso e qualcosa di ancora più grave... ora la vita di questo ragazzo è anche nelle tue mani. Tu cosa fai? Non essere complice aiutaci.... In fondo ti basta inviare delle mail o una cartolina di protesta. Per te è un minuto del tuo tempo, per il giovane Makwan quel gesto vale tutta la sua vita...
ULTIME NOTIZIE... Makwan Moloudzadeh è stato giustiziato, nonostante la mobilitazione di tanti uomini e donne che hanno cercato di impedirlo. Ma di fronte a tanta violenza ci uniamo anche noi idealmente alle donne e agli uomini della REFO di Firenze che giovedì 13 dicembre 2007 alle ore 21 si riuniranno a Firenze presso il Centro comunitario Valdese di Via Manzoni per dare vita ad una preghiera ecumenica e per gridare “ la nostra sete di giustizia, di amore e di compassione, perché non si dia più la morte nel nome dell'unico Dio dei cristiani, degli islamici e degli ebrei”.
Makwan Moloudzadeh ha ventun anni (è nato il 31 marzo 1986) ed è stato condannato a morte per il reato di “lavat” (letteralmente, sodomia) secondo il Codice Penale iraniano, che prevede la pena capitale. Stando alla motivazione addotta dal Governo Iraniano, il giovane, all'età di 13 anni, avrebbe intrattenuto rapporti sessuali con un altro ragazzo.
Makwan, che era stato oggetto della campagna internazionale “ Fiori per la vita in Iran ” lanciata dal Gruppo EveryOne - con centinaia di rose bianche e rosse inviate al presidente Ahmadinejad e la mobilitazione del mondo islamico liberale e progressista -, aveva ottenuto, il 15 novembre scorso, la sospensione della sentenza di morte dal capo del Dipartimento di Giustizia iraniano, l'Ayatollah Seyed Mahmoud Hashemi Shahrudi.
Il giudice aveva definito la sentenza – emessa in prima istanza il 7 giugno scorso dalla prima camera del tribunale penale di Kermanshah, nell'Iran dell'ovest, e successivamente confermata l'1 agosto – “una violazione dei precetti islamici e delle leggi morali terrene”.
Nella serata di oggi 3 dicembre la famiglia di Makwan ha contattato telefonicamente Ahmad Rafat, giornalista di AKI – ADN Kronos International e membro del Gruppo EveryOne , dando l'allarme: il caso di Makwan è stato riesaminato dall'Autorità Giudiziaria di Teheran, e ieri, domenica 2 dicembre, è arrivata la drammatica sentenza presso il carcere di Kermanshah, dove il giovane è detenuto da tempo.
“ Abbiamo sperato che l'Iran avesse mostrato compassione per Makwan ma la campagna per la vita di Makwan condotta da migliaia di attivisti in tutto il mondo è rimasta inascoltata. Ci si stupisce inoltre di come qualcuno, anche sulla stampa internazionale, abbia definito ‘child offender' Makwan, visto che era egli stesso un ragazzo quando amò un coetaneo ”
“ I familiari di Makwan sono sconvolti ” afferma Ahmad Rafat di EveryOne. “ Da oggi, ogni giorno potrebbe essere l'ultimo, per Makwan, perché i giudici iraniani comunicano alla famiglia il luogo e il momento del'esecuzione solo la sera prima della stessa ”. |

Fiori per la vita (a Makwan Moloudzadeh)
un fiore tredicenne
ne conobbe un altro
ma il suo stelo adesso s'è spezzato
e un gelo di silenzio soffia attorno
ciascuno nel suo piccolo mondo
costruisce la propria solitudine
e la gente muore torturata
lontana, nell'indifferenza
tutte le rose bianche
a cui nessuno mai rispose
e i petali rossi stuprati
e le nostre pagine inutili
poi le montagne di poesie
che ora non dicono nulla
non dicono proprio nulla
se non tacere di vergogna
a chi vuoi che importi
della tua ridicola innocenza
chi mai si prenderà un barlume
del suo tempo per piangerti
così, come si dovrebbe?
mi sento sempre più distante
dalle mie stesse parole, dal mio
autismo letterario che non fa
che autocommiserarsi, guardandosi
allo specchio i contorni di un abisso
che sfuma e sfuma e sfuma
dove attraverso vedo
la mia mano che scrive
e lacrime senza ritorno in gola
di un grido affogato di tristezza
guardo il mio viso, adesso
non sembra più nemmeno lui
ma questa bocca non resterà cucita
non resterà cucita
ma canterà per te, piccolo fiore
coi pugni levati in cielo
fino alla fine della fine
della fine di questa
follia.
marco cinque |