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Si parla di immigrazione: la parola a Moustapha N'Dao
Responsabile Gruppo Multiculturale N.A.Di.R
Essendo io un immigrato, ho vissuto in prima persona il peso di dovermi relazionare con soggetti che ignorano veramente il perché una persona lasci la sua famiglia, i suoi amici, la sua infanzia, la sua cultura. Si tratta di soggetti incapaci di interpretare la realtà con altri strumenti che non siano quelli forniti loro dai "pregiudizi e dal loro senso comune".
So quindi che avere a che fare con individui del genere significa dovere fare i conti con tutta una serie di etichette che essi attribuiscono, senza pensarci due volte (ma forse nemmeno una), ad altri. Sulla base di giudizi frettolosi e limitativi, nati da semplici osservazioni, relative all'abbigliamento o ad usi diversi da quelli locali, si è portati a credere che i vissuti di questi soggetti mal considerati, siano del tutto negativi. Personalmente, al di là di qualunque analisi sociologica, ho sempre pensato, che "pregiudizi, senso comune, ed ignoranza” siano la stessa cosa. Per quanto riguarda la mia esperienza, infatti, così come per quella di altri individui con interessi comuni ai miei, sono portato a credere che lo sforzo di non giudicare, classificare ma, al contrario, conoscere e capire debba nascere dall'umanesimo.
Spero quindi che sia “comune” sempre a più persone il desiderio di liberarsi dalle catene imposte loro dai pregiudizi e che ognuno comprenda il valore delle religioni e della diversità.
Prima di proseguire, vorrei sottolineare che il
discorso non è generalizzato né dalla parte dei Nativi, né dalla parte degli Immigrati.
Per non essere troppo dispersivo, porterei solo alcune opinioni negative nei confronti degli stranieri:
Ostilità simbolica = consiste nella lotta per imporre i propri valori e gerarchie simboliche; riguarda la sfera della cultura, della politica e dell'economia.
Costruzione sociale = il migrante viene percepito negativamente per il semplice fatto di provenire da un altrove ed è costretto a scontrarsi quindi con le sicurezze acquisite e date per scontate dalle persone native del luogo in cui approda.
Problemi = l'immigrazione è vista come una serie dei problemi concreti quali l'alloggio, la delinquenza, l'ordine pubblico, le malattie...
Spiegazioni = le spiegazioni che le persone si danno nella vita quotidiana sono quelle appartenenti al senso comune. Si costruisce così la realtà sulla base della percezione e della concezione dei soggetti e dunque, il più delle volte, partendo da presupposti errati e procedendo per deduzioni o pseudo sillogismi che la sociologia studia, ma non condivide.
Giustificazione = le giustificazioni del senso comune hanno il compito di spiegare ciò che è già conosciuto ed accettato e, diversamente dalle spiegazioni della scienza, sono costituite in modo da non mettere in discussione l'assunto che si vuole confermare.
L'ultimo punto, che è quello della giustificazione del " senso comune ", è il peggiore perché è diventata una logica pratica quella di dimostrare una convinzione, senza avere nessuna valida giustificazione a proprio sostegno .
Non dimentichiamoci che il viaggio e lo spostamento sono, inoltre, delle affermazioni della specie umana, grazie alle quali, da tempi immemorabili, gli esseri non hanno mai smesso di cercare di migliorare le proprie condizioni di vita.
Nella nostra era di globalizzazione, in cui il capitalismo ha rovesciato tutte le regole, è emerso l'assunto: "Chi non ha, non è", come insolito modo per uscire dal degrado.
Molti partono da paesi in guerra, dove non hanno più parenti vivi, da luoghi dove regnano la miseria e le malattie, e si avventurano in viaggi pericolosi, mettendo a rischio la propria vita. Sono costretti a piegarsi alla remissione feroce, alla detenzione, vivendo in condizioni disumane in campi di accoglienza, in attesa del riconoscimento dello status di rifugiati, o di detenuti prima dell'espulsione.
La preoccupazione e l'ansia per il loro riconoscimento sono tanto più forti, considerando il peso che hanno ed esercitano sull'esistenza materiale e la quotidianità.
Alcune tesi sostengono che gli stranieri, giuridicamente e socialmente, siano più soggetti a non essere trattati come persone. Questo è deducibile anche semplicemente prendendo in considerazione il linguaggio utilizzato dai mass-media per identificarli in "Extracomunitario", "Clandestino", "Irregolare", "Immigrato".
Gli immigrati vengono infatti trattati spesso dalla società come se non fossero delle persone e tutta la loro vita finisce col ruotare attorno alla possibilità di vedersi rinnovato o meno il permesso di soggiorno, che, se non concesso, magari a seguito della perdita del lavoro, può determinare l'espulsione da un qualsiasi Paese Europeo.
Questo significa che la situazione giuridica degli immigrati li differenzia nettamente dai nativi e li pone in condizione di potere essere allontanati dai loro affetti, dalle loro amicizie e da qualunque altro tipo di relazione abbiano instaurato pur vivendo, in termini materiali e sociali, in modo simile ai nativi.
I pregiudizi della vita quotidiana allontanano l'immigrato orientandolo verso l' auto-esclusione.
L'immigrato deve avere la possibilità di condividere la sua vita quotidiana con gli altri (nativi) perché la più importante esperienza di condivisione ha luogo proprio nel momento in cui ci si trova faccia a faccia. Solo nell'incontro diretto la soggettività dell'altro è accessibile all'individuo in maniera diretta, anche se è comunque possibile fraintendere l'espressività di chi si ha di fronte.
Nell'incontro diretto l'altro è immediatamente presente e, prima della riflessione, avviene il processo verso il dialogo che può portare all'inserimento. Bisogna tenere ben presente che, prima di volere inserire una persona, accettarla equivale a rispettarla senza conoscerla.
E' inoltre indispensabile tenere in considerazione il più grosso problema dello straniero, vale a dire la conoscenza della lingua quale primo mezzo di comunicazione.
E' un processo semplice che parte prima dall'accoglienza e dovrebbe coronarsi con l'integrazione. Sottolineiamo che non si può integrare una persona, ma è la persona che deve scegliere di integrarsi secondo il suo modo di adattarsi.
Riguardo l'integrazione solo una domanda vorrei porre: "Come si può chiedere ad una persona, privata dei diritti più elementari, di integrarsi?".
Se giuridicamente, socialmente, politicamente, si nega tutto a qualcuno, non gli si può chiedere niente perché l'integrazione, per definizione, comporta per gli immigrati la necessità di conformarsi e di adattarsi a certi modelli, mettendoli in condizione di precarietà permanente e transitoria, vale a dire, nell'ultima fila di una società ostile, facendo loro subire in silenzio la negazione non solamente di tutti i diritti, ma anche della loro stessa umanità.
In questo percorso, senza condizioni generali e globali, senza condizioni socio-economiche e culturali, dove regna l'esclusione permanente e la condanna non si può parlare d'integrazione.
I pregiudizi ed il senso comune sono privi di ogni fondata giustificazione e, comprendere questo presupposto, può significare, non solo restituire lo status di esseri umani a chi ne viene privato sulla base di false convinzioni , ma anche smettere di auto proclamare una superiorità mai posseduta se non in termini di arroganza. Si può quindi fare dell'Occidente e del mondo intero, anche se a tale fine sarebbe necessario combattere pure contro gli interessi di vari governi potenti e multinazionali, un luogo più umano in cui ognuno sia messo in condizione di vivere al meglio senza che tale condizione implichi l'infelicità d'altrui.
Moustapha N'Dao
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