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Mons. Romero e il contadino Polín.
di Pierpaolo Loi

 

            Apolínar Serrano, noto Polín, nato nel 1943, ucciso in un imboscata il 29 settembre 1979, era un contadino povero, analfabeta, diventato tra i più apprezzati dirigenti del movimento cristiano popolare dei contadini salvadoregni ( Feccas , Federazione cristiana dei contadini salvadoregni), un leader molto amato dai campesinos e molto stimato anche da mons. Oscar Arnulfo Romero. La terra in Salvador era in mano a 14 famiglie dell'oligarchia terriera e i contadini lavoravano come schiavi per un salario da fame. Polín imparò a leggere, ma le sue dita indurite dal duro lavoro del taglio della canna da zucchero non poterono mai scrivere. Era molto attento e possedeva una memoria straordinaria e una grande capacità comunicativa: parlava il linguaggio del popolo contadino usando barzellette, proverbi e storie tratte dalla Bibbia, un testo allora sovversivo da portare ben nascosto. Mons. Romero rimase anche lui affascinato da questo contadino fin dal primo incontro. Rutilio Sánchez racconta che mons. Romero voleva sincerarsi che le iniziative di lotta dei contadini, che rivendicavano un salario più giusto e la riforma agraria, non sfociassero nella violenza e si incontrò con Polín:             “- Guarda, Apolinario, dicono che tu vai sollevando i contadini e che persino gli parli contro la chiesa e contro di me. E dicono anche che tu sia un uomo di fede… come spieghi questo? - Monsignore, io spiego meglio i problemi facendo delle domande. - Domanda allora. - Mi risponda anzitutto su questo: il signor arcivescovo sa quanto pagano al proletariato contadino per il lavoro di tutto un giorno? - Veramente non so… - Tre pesos, Monsignore! "Sbaviamo" come dite voi, perché ci paghino due pesos in più. Mi dica Monsignore cosa farebbe lei con appena tre pesos nella borsa per tutto un santo giorno? Nemmeno con cinque, se forse persino la lavatura della sua sottana costa di più! E noi non guadagniamo nemmeno questo sfinendoci nella raccolta della canna sotto il sole!” [1] . Polín pone all'arcivescovo un'altra domanda: - Vediamo, Monsignore. Lei crede in Dio? - Si, chiaro, io credo in Dio. - E crede nel Vangelo? - Anche, si. Credo nel Vangelo. - Siamo pari dunque! Perché anch'io credo in Dio e nel Vangelo. Entrambi diciamo la stessa cosa, ma è differente! Indovina indovinello perché mi fa male la pancia! Indovina sua eccellenza dove sta la differenza! - Non lo so, Polín, dimmelo tu. Monsignore rideva. - Lei crede nel Vangelo perché è il suo lavoro, lo ha studiato, lo legge e lo predica. Fortuna da vescovo! E io… io quasi non ho potuto leggere né studiare il Vangelo, tutta la sua "indiologia", ma credo nel Vangelo. Lei crede per ufficio io credo per necessità. Perché lì mi viene detto che Dio non vuole che ci siano ricchi e poveri, e io sono povero! Capisce la differenza? Sta lì! L'ha afferrata? Abbiamo la stessa fede, ma la teniamo in gabbie diverse” [2] . Una relazione intensa, un'amicizia sincera e un riguardo per questo contadino che monsignore non ebbe con nessun'altra persona. Si incontravano spesso all' hospitalito [3] , qualche volta perché Romero convocava Polín, qualche altra perché Polín voleva riferire all'arcivescovo. Racconta Juan Bosco Palacios che “Monsignor Romero non cedeva mai a nessuno il suo posto a capotavola, ma proprio a nessuno. Se arrivava il nunzio, lo faceva sedere al suo lato, ma egli restava a capotavola. Con Polín no. Quando Polín arrivava a conversare e a mangiare, Monsignore gli cedeva sempre il posto a capotavola. Solo a lui. Polín fu l'unico che occupò il suo posto” [4] . Una volta mons. Romero chiese spiegazione sulle scritte che apparivano sui muri di San Salvador e che lo infastidivano. Un giorno apparve la scritta : "vieni Signore che il socialismo non basta". Chiese spiegazione a Polín: “- Spiegami dunque Apolinario, gli chiese Monsignore, come intendete voi questo disordine per vedere se riesci a farlo capire anche a me… - Vede Monsignore noi non abbiamo un giornale… in quale edificio o da quale parte abbiamo una chance perché ci lascino pubblicare una scritta? Alla radio, quanto crede che facciano pagare per un annuncio? E anche se avessimo il denaro, trasmetterebbero il nostro annuncio? Allora come risolviamo la questione? Un paio di compagni prendono alcuni manganelli e un pugnale e si mettono di guardia nella via, mentre un altro va a scrivere il messaggio sul muro. Solo se qualcuno ci vede, dobbiamo scappare di corsa. Le scritte sono comunicazione, ci servono per comunicare con il nostro popolo! I muri sono il giornale dei poveri! Ha capito adesso? Aveva capito. E così altre cose. Arrivò ad intendersi tanto con Polín che a volte gli diceva: - Guarda, Apolinario al posto dell'orazione oggi parlo con te. E passava la sua ora di orazione parlando con Polín. L'ora intera” [5] . La predilezione di mons. Romero per i braccianti, i più poveri della terra, è testimoniata anche dalla sua segretaria Coralia Godoy che racconta di come l'arcivescovado era diventato un via vai di gente (i contadini gli portavano galline, polli e un giorno persino una mucca). Alla richiesta di mettere un po' di ordine e di programmazione l'arcivescovo rispose: “ - Credo che questa programmazione non si possa fare. - No…?  - No, perché ho le mie priorità. E con programmazione o no riceverò sempre per primo qualsiasi contadino che giunga qui, il giorno o l'ora che sia, ci sia o no una riunione…  - Allora…!  - Allora no, no…guarda, i miei fratelli vescovi hanno tutti la macchina, i parroci possono prendere il bus e non hanno grossi problemi ad aspettare. Ma i contadini? Vengono camminando per leghe con tanti pericoli e a volte senza aver mangiato. Ieri ne è arrivato uno che veniva da La Union. Poiché partecipava ad una riunione cristiana una guardia lo colpì tanto sulla testa che sta diventando cieco. E' venuto solo per raccontarmelo…” [6] . La notizia dell'agguato e della uccisione di Polín e dei suoi compagni (José Lopez, Patricia Puertas e Felx Garcia) che rientravano da Santa Ana verso San Salvador, dopo una notte di lavoro, ebbe un impatto enorme sull'intero movimento. Il dolore di mos. Romero viene raccontato così da Juan Bosco Palacios e Antonio Cardenal: “Sta piangendo nella su stanza, girato verso la parete, senza poter riposare, senza poterselo togliere dalla testa, senza poter neppure pregare. All'alba hanno ucciso Polín. Non lo vedrà mai più arrivare all' hospitalito , raccontando come solo lui sapeva fare. ‘Sta attento Apolinario – gli diceva subito -, ti vogliono uccidere'. ‘Anche lei stia attento, Chespirito! – gli rispondeva lui – Vediamo chi è che fa il viaggio per primo!'…Lo hanno strappato al popolo. E Monsignor Romero lo sta piangendo. E si copre il viso per ricordarlo vivo” [7] .         Nell'omelia della domenica successiva Romero smentisce la versione ufficiale dei fatti mettendone in rilievo le contraddizioni, afferma di aver conosciuto a fondo Polín e aggiunge: “Riguardo a questo fatto, mi ha molto colpito a livello personale per aver conosciuto molto profondamente uno di questi contadini. E in verità fu un uomo molto amato, che suscitava molta speranza per le rivendicazioni della classe contadina; credo si sia commesso uno degli errori più gravi e delle ingiustizie che gridano al cielo, giacché lasciano un popolo privo di speranze e senza i portavoce riguardo alle situazioni di oppressione. Io voglio dire anche che se questo, che semplicemente vale per vita che è sacra come ha detto il Papa, è già un crimine, però quando in più si vede la pretesa di decapitare le organizzazioni del popolo, è ancor più criminale, è togliere la voce al popolo che si organizza per difendere i propri diritti e questo ancor più grida al cielo. Più grave ancora, tuttavia, è che sia l'esercito a farsi complice di questo crimine…” [8] . Una difesa appassionata della vita e del diritto del popolo a organizzarsi per difendere i propri diritti calpestati. Il 24 marzo del 1980, qualche mese più tardi, il “viaggio” di cui parlava Polín l'ha intrapreso anche mons. Romero, assassinato nella cappella dell' hospitalito della Divina Provvidenza; un cammino in cui è stato preceduto, e poi seguito, da tante altre persone, donne e uomini, laici e religiosi, che hanno considerato la loro vita non un valore assoluto da difendere ad ogni costo, ma un valore relativo all'avvento del Regno di Dio: come Gesù, l'uomo-per-gli-altri, hanno capito che l'amore per il proprio popolo, l'amore per la giustizia è il valore più grande; hanno preferito fare della propria vita un dono fino a perderla piuttosto che gelosamente tenerla per sé. Pierpaolo Loi                                                                        24 marzo 2009, 29 a memoria del vescovo martire                                                                                        Oscar Arnulfo Romero

[ 1] Testimonianza di Rutilio Sánchez, tratta dal libro Monseñor Romero. Piezas para un retrato , di María López Vigil, nella edizione a cura del Comité de Solidaridad Oscar Romero de Vigo (Spagna) del gennaio 2004 e tradotta in italiano dal Gruppo Oscar Romero, Milano - SICSAL Italia in   http://ospiti.peacelink.it/romero/romero/07c%20Tilo4.htm ; in italiano Monsignor Romero Frammenti per un ritratto , Ed. NdA Press 2006.
[2] Ibidem.
[3] Ospedale della Divina Provvidenza di San Salvador, dove Romero risiedeva abitualmente.
[4] Claudia Fanti, El Salvador Il Vangelo secondo gli insorti , SANKARA, Roma 2007, pp. 34-35.
[5] Testimonianza di Rutilio Sanchez, op. cit., in   http://ospiti.peacelink.it/romero/romero/11a%20Tilo5.htm
[6] Ibidem, in http://ospiti.peacelink.it/romero/romero/03c%20Contadini.htm
[7] Claudia Fanti, El Salvador … , op. cit.. p. 37.
[8] Omelia Domenica 7 Ottobre 1979, in  http://servicioskoinonia.org/romero/homilias/B/791007.htm ; la traduzione è mia.

Lunedì 30 Marzo,2009

 


In ricordo di Monsignor Romero
Scritto da Domenico detto Mimì Capurso
mercoledì 18 marzo 2009
A ventinove anni dall'assassinio dell'Arcivescovo di San Salvador Mons. Romero, un martire della civiltà cristiana
“Pulisco la tomba di Monsignore  [ l' Arcivescovo Oscar Romero, ndr] perchè era mio padre...Perchè quelli come me lui lì amava; non gli facevano schifo. Ci parlava, ci toccava, ci chiedeva, addirittura si confidava con noi.  Se sapessi l'affetto che aveva per noi! Per questo gli pulisco la tomba; egli ha dato la sua vita per me”
(Un poverissimo barbone della città di San Salvador)
 
Ma chi è Monsignor Romero? Ascoltate e capirete anche perchè quel povero è tanto felice di curare quella tomba.

San Salvador(capitale di El Salvador) 24 marzo 1980, ore 18.26: mentre sta celebrando la Santa Messa, cade ucciso da un sicario Monsignor Oscar Arnulfo Romero, Arcivescovo della città.

In una terra insanguinata e tormentata da profonde contraddizioni, da antiche ingiustizie storiche, Romero solleva la sua voce profetica e denuncia tutto ciò che distrugge la dignità dell'individuo. L'Arcivescovo è un martire della nuova Chiesa latino-americana, di quella che recupera per i poveri e per gli oppressi la forza liberatrice del Vangelo.
 
Il coraggioso Vescovo non ha avuto paura nel mettersi a fianco del suo popolo, torturato e massacrato da una feroce dittatura militar-fascista, anche quando una notevole parte della Chiesa Cattolica salvadoregna, alleata con il potere oppressivo, lamentava la sua scelta radicale nel difendere una gente umiliata e spogliata.

Quante volte l'Arcivescovo ha potuto ascoltare nel suo arcivescovado e durante le visite pastorali il grido di torturati, i pianti delle donne che avevano perso i figli massacrati dai soldati.

Sua eccellenza Oscar Romero non ha fatto orecchie da mercante: quel grido lo ha toccato profondamente.

Ha cominciato allora ad affiancare il proprio popolo, assecondandone il bisogno di giustizia, denungiando le autorità, gridando parole di fuoco: “Basta con la violenza contro il popolo! Smettetela!”

Ha chiesto alla sua Chiesa di portarsi senza paura affianco dei poveri, di professare il coraggio profetico, di criticare il comportamento criminale del governo militar-fascista. Ma non l'hanno lasciato parlare per tempo.

Gli hanno chiuso la bocca perchè come amico degli esclusi era diventato pericoloso. Sono andati a trovarlo durante la celebrazione dell'Eucarestia: l'assassino glia ha sparato proprio mentre stava distribuendo il Corpo di Cristo. Il vescovo dei poveri , ancora con l'Ostia consacrata in mano , è caduto per terra, ucciso dal potere che torturava il suo popolo.

Ucciso da cattolici anticristiani.

Infatti: “Mons. Romero, come tanti altri sacerdoti dell'America Latina, è stato ucciso da persone che si dicevano cristiani e che vedevano in Lui un nemico dell'ordine sociale occidentale. Romero è un martire della civiltà occidentale cristiana cattolica”, dichiara Mons. Gregorio Rosa Chàvez, vescovo .

Gesù Cristo non è morto di morte naturale: è stato assassinato come si ammazzano i delinquenti. Ancora oggi il Figlio di Dio viene massacrato nei tanti martiri della giustizia e della pace, come Mons. Romero, o come il miserabile che deve patire la fame e morire per l'ingiusta distribuzione dei beni della terra. Dobbiamo avere il coraggio di dire basta, perchè noi siamo cristiani della Vita e non della morte.

E sia chiaro, cattolici cosiddetti “progressisti” e “conservatori”: il vescovo Romero fu ,”senza se e senza ma”, estraneo alla Teologia di Liberazione, che non sentiva sua, il Monsignore vilmente trucidato sull'Altare al momento dell'offertorio non fece mai intenzionalmente politica, non sostenne rivoluzioni, ma si sentì responsbile moralmente del suo popolo.

L'Arcivescovo assassinato sull'Altare non è morto: vive più che mai attraverso l'impegno di molti animatori ed animatrici di Comunità, che perpetuano l'opera del vescovo dei miseri. E vive non più solamente in El Salvador. Ora è presente in tutto il mondo. Quanti gruppi, movimenti, Case ed opere dedicate a lui. Anche in Italia!

S.E. Romero ha reso attuale la missione originaria del Vescovo come “defensor et procurator pauperum” (“difensore e avvocato dei poveri”).

Domenico detto Mimì Capurso
Bisceglie (Bari)
Oscar Romero: un vescovo fatto popolo
“Uno non deve mai amarsi al punto da evitare ogni possibile rischio di morte che la storia gli pone davanti. Chi cerca in tutti i modi di evitare un simile pericolo, ha già perso la propria vita”.
Oscar Romero nasce a Ciudad Barrios di El Salvador il 15 marzo 1917 da una famiglia modesta. Avviato all'età di 12 anni come apprendista presso un falegname, a 13 entrerà nel seminario minore di S. Miguel e poi, nel 1937, nel seminario maggiore di San Salvador retto dai Gesuiti. All'età di 20 anni fa il suo ingresso all'Università Gregoriana a Roma dove si licenzierà in teologia nel 1943, un anno dopo essere stato ordinato Sacerdote. Rientrato in patria si dedicherà con passione all'attività pastorale come parroco. Diviene presto direttore della rivista ecclesiale “Chaparrastique” e, subito dopo, direttore del seminario interdiocesano di San Salvador.In seguito avrà incarichi importanti come segretario della Conferenza Episcopale dell'America Centrale e di Panama. Il 24 maggio 1967 è nominato Vescovo di Tombee e solo tre anni dopo Vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di San Salvador. Nel febbraio del '77 è Vescovo dell'arcidiocesi, proprio quando nel paese infierisce la repressione sociale e politica.

Sono, ormai, quotidiani gli omicidi di contadini poveri e oppositori del regime politico, i massacri compiuti da organizzazioni paramilitari di destra, protetti e sostenuti dal sistema politico. E' il periodo in cui il generale Carlos H. Romero è proclamato vincitore, grazie a brogli elettorali, delle elezioni presidenziali. La nomina del nuovo Vescovo non desta preoccupazione: mons. Romero, si sa, è “un uomo di studi”, non impegnato socialmente e politicamente; è un conservatore.

Il potere confida in una pastorale aliena da ogni compromesso sociale, una pastorale “spirituale” e quindi asettica, disincarnata. Mons. Romero inizia il suo lavoro con passione. Passa poco tempo che le notizie della sua inaspettata attività in favore della giustizia sociale giungono lontano e presto arrivano i primi riconoscimenti ufficiali dall'estero. Mons. Romero li accetta tutti in nome del popolo salvadoregno. Ma che cosa è accaduto nell'animo del vescovo conservatore?

Di particolare nulla. Solo una grande Fede di pastore che non può ignorare i fatti tragici e sanguinosi che interessano la gente. Disse, infatti, Romero: “Nella ricerca della salvezza dobbiamo evitare il dualismo che separa i poteri temporali dalla santificazione” e ancora: “Essendo nel mondo e perciò per il mondo (una cosa sola con la storia del mondo), la Chiesa svela il lato oscuro del mondo, il suo abisso di male, ciò che fa fallire gli esseri umani, li degrada, ciò che li disumanizza”.Forse un evento scatenante potrebbe essere stato l'assassinio del gesuita Rutilio Grande da parte dei sicari del regime; Romero apre un'inchiesta sul delitto e ordina la chiusura di scuole e collegi per tre giorni consecutivi. Nei suoi discorsi mette sotto accusa il potere politico e giuridico di El Salvador. Istituisce una commissione permanente in difesa dei diritti umani; le sue omelie, ascoltate da moltissimi parrocchiani e trasmesse dalla radio della diocesi,vengono pubblicate sul giornale “Orientaciòn”. Una certa chiesa si impaurisce allontanandosi da Romero e dipingendolo come un ”incitatore della lotta di classe e del socialismo”. In realtà Romero non invitò mai nessuno alla lotta armata, ma, piuttosto, alla riflessione, alla presa di coscienza dei propri diritti e all'azione mediata, mai gonfia d'odio. Purtroppo, il regime sfidato aveva alzato il tiro; dal 1977 al 1980 si alternano i regimi ma non cessano i massacri: il 24 marzo 1980 Oscar Romero, proprio nel momento in cui sta elevando il Calice nell'Eucarestia viene assassinato. Le sue ultime parole sono ancora per la giustizia: “In questo Calice il vino diventa sangue che è stato il prezzo della salvezza. Possa questo sacrificio di Cristo darci il coraggio di offrire il nostro corpo ed il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo.Questo momento di preghiera ci trovi saldamente uniti nella fede e nella speranza”. Da quel giorno la gente lo chiama, lo prega, lo invoca come San Romero d'America. Sì, la profezia di Romero, il vescovo fatto popolo si è realizzata: “Se mi uccideranno – aveva detto – risorgerò nel popolo salvadoregno”.
Leggi anche:
» La Pasqua di Oscar Arnulfo Romero
» In memoria del vescovo Romero a cura di David Maria Turoldo
» Veglia Pasquale 1978 con mons. Romero
» Dall'oppressione alla libertà
» La strada di Romero
» Omelia durante i funerali di padre Rutilio Grande

Per approfondire:
Scritti di O. A. Romero
* Diario, ed. La Meridiana, Molfetta 1990.
* Romero …y lo mataron. Scritti e discorsi di una vittima della repressione in America Latina, ed. AVE, Roma 1980.

Scritti su O.A. Romero
* AA.VV., Il vescovo Romero, martire per la sua fede per il suo popolo. Ed. EMI, Bologna 1980.
* LEVI A., Oscar Arnulfo Romero.Un vescovo fatto popolo, Ed. Morcelliana,Brescia 1981.
* J.R.Brockman, "Oscar Romero. Fedele alla parola", Cittadella Editrice, Assisi 1984.
* Ettore Masina, "L'Arcivescovo deve morire. Monsignor Romero e il suo popolo", ed. del Gruppo Abele, 1996.
* Ettore Masina, Oscar Romero, prefazione di Leonardo Boff, Edizioni Cultura della Pace - San Domenico di Fiesole (FI), 1993
* María López Vigil, Oscar Romero, Un Mosaico di Luci, Ed. Emi, Bologna 1997

WEB:
» http://servicioskoinonia.org/romero
» http://www.paginecristiane.net/romero/
» http://ospiti.peacelink.it/romero/
» estratti video in “Rai Teche” su Oscar Romero

Audiovisivi
* “ROMERO” di John Duigan distribuito in home-video da Titanus.

 

TESTIMONI DA EL SALVADOR: Mons. OSCAR ROMERO e p. RUTILIO GRANDE
Omelia durante i funerali di padre Rutilio Grande
(ucciso il 12 marzo 1977, assieme ad un anziano e ad un bambino)
di Oscar A. Romero

Ecc.mo rappresentante di Sua Santità il papa, cari fratelli vescovi, Sacerdoti e Fedeli, poche volte, come questa mattina, la cattedrale mi appare come segno della Chiesa universale. Qui vi è la convergenza di tutta la ricca pastorale di una Chiesa locale che si intreccia con la pastorale di tutte le diocesi e di tutto il mondo, e allora ci rendiamo conto che la presenza non solo dei vivi, ma anche di questi tre morti, conferisce a questa figura della Chiesa, una prospettiva aperta all'assoluto, all'infinito, all'aldilà: Chiesa universale, Chiesa che va al di là della storia, Chiesa che va al di là della vita umana.
Se fosse un semplice funerale parlerei ora - cari fratelli - delle mie relazioni umane e personali con il padre Rutilio Grande, che è stato per me come un fratello. In momenti molto importanti della mia vita mi è stato molto vicino e questi gesti non si dimenticano mai; tuttavia questo non è il momento di pensare a fatti personali, ma di raccogliere da questo cadavere un messaggio per tutti noi che continuiamo il nostro pellegrinaggio. Il messaggio voglio prenderlo dalle parole stesse del papa, presente qui nella persona del suo rappresentante, il Nunzio, che ringrazio, perché dà, alla nostra figura di Chiesa, quel senso di unità che ora sento nell'arcidiocesi, in queste tragiche ore; quel senso di unità, come rapida fioritura di questi sacrifici che la Chiesa sta offrendo. Il messaggio di Paolo VI, quando ci parla dell'evangelizzazione, ci aiuta a comprendere Rutilio Grande. "Qual è l'apporto della Chiesa a questa lotta universale per la liberazione da tanta miseria?" E il papa ricorda come nel Sinodo del 1974 le voci dei vescovi di tutto il mondo, rappresentate soprattutto dai vescovi del terzo mondo, gridavano "la sofferenza di questi popoli affamati, miseri, emarginati". E la Chiesa non può rimanere assente in questa lotta di liberazione, ma la sua presenza in questa lotta, per rialzare, ridare dignità all'uomo, dev'essere un messaggio, una presenza del tutto originale; una presenza che il mondo non potrà comprendere, ma che ha in sé il germe, la potenza della vittoria, della riuscita. Dice il papa: la Chiesa offre questa lotta liberatrice del mondo, uomini liberatori, ai quali dà un'ispirazione di fede, una dottrina sociale, che è alla base della sua prudenza e della sua esistenza, per essere tradotta in impegni concreti, e soprattutto dà una motivazione di amore, di amore fraterno.

Questa è la liberazione della Chiesa. Perciò il papa dice: "Non si può confondere con altri movimenti di liberazione senza orizzonti ultraterreni, senza orizzonti spirituali". Anzitutto un'ispirazione di fede, e così è padre Rutilio Grande: un sacerdote, un cristiano che nel suo battesimo e nella sua ordinazione sacerdotale ha fatto una professione di fede: "Credo in Dio Padre rivelato da Cristo suo Figlio, che ci ama e ci invita all'amore. Credo in una Chiesa che è segno di questa presenza dell'amore di Dio nel mondo, dove gli uomini si danno la mano e si incontrano come fratelli. Un'illuminazione di fede che la fa distinguere da qualsiasi liberazione di tipo politico, economico, terreno, che non vada al di là di ideologie di interessi e di cose che restano sulla terra". Mai, fratelli, a nessuno di coloro che sono qui presenti, venga in mente che questo nostro essere riuniti intorno al padre Grande abbia un tono politico, sociologico o economico. Niente affatto: è una riunione di fede. Una fede che attraverso il suo corpo morto nella speranza, si apre verso orizzonti eterni.

La liberazione che padre Grande predicava è ispirata alla fede, una fede che ci parla di una vita eterna, una fede che ora egli, con il viso rivolto al cielo, accompagnato da due contadini, offre nella sua totalità, nella sua perfezione, la liberazione che culmina nella felicità in Dio; la liberazione che prende avvio dal pentimento del peccato, la liberazione che si appoggia a Cristo, unica forza salvatrice; questa è la liberazione che ha predicato Rutilio Grande, e per questo ha vissuto il messaggio della Chiesa. Ci dà uomini liberatori con una ispirazione di fede e, allo stesso tempo, ci dà la stessa ispirazione di fede. In secondo luogo, uomini che pongono alla base della loro prudenza e della loro esistenza, una dottrina: la dottrina sociale della Chiesa. La dottrina sociale della Chiesa che dice agli uomini che la religione cristiana non ha soltanto un senso verticale, spiritualista, che dimentica la miseria che li circonda. È un guardare Dio, e da Dio guardare il prossimo come fratello e sentire che "tutto ciò che farete a uno di questi lo avrete fatto a me". Una dottrina sociale che magari fosse conosciuta dai movimenti sensibili alle questioni sociali. Eviterebbero insuccessi, miopie, la miopia che non lascia vedere che le cose temporali, le strutture temporali. E fintanto che non si viva una conversione del cuore, una dottrina che si illumina con la fede per organizzare la vita secondo il cuore di Dio, tutto sarà debole, rivoluzionario, passeggero, violento. Nessuna di queste cose è cristiana, lo sono quelle che prendono vita dalla vera dottrina che la Chiesa propone agli uomini: come sarebbe luminoso il mondo se tutti ponessero alla base della propria esistenza, dei propri impegni concreti, anche delle proprie preferenze politiche, degli affari, la dottrina sociale della Chiesa! Questo predicava padre Rutilio Grande e poiché spesso tale dottrina non è compresa, fino a giungere all'assassinio, per questo è morto padre Rutilio Grande. Una dottrina sociale della Chiesa che è stata confusa con una dottrina politica che dà fastidio al mondo; una dottrina sociale della Chiesa che si vuol calunniare come sovversiva, con altre cose che sono molto lontane dalla prudenza che la dottrina della Chiesa pone alla base dell'esistenza.

Cari fratelli sacerdoti, questo messaggio di padre Rutilio Grande è di estrema importanza per noi. Raccogliamolo e, alla luce di questa dottrina e di questa fede, lavoriamo uniti. Non dividiamoci con ideologie progressisticamente pericolose, con ideologie non ispirate alla fede nel Vangelo. Diamo alla nostra dottrina, al nostro agire da buoni samaritani, da predicatori del comandamento di Cristo, quella luce che la Chiesa, depositaria della fede, come hanno detto ieri nel loro messaggio i vescovi del Salvador, sta cercando di attualizzare in questi momenti misteriosi, convulsi della nostra repubblica. Sono felice, cari sacerdoti, che tra i frutti di questa morte, che piangiamo, e di altre difficili circostanze del momento, il clero si stringa intorno al suo vescovo e i fedeli comprendano come la luce della fede ci guida per strade molto diverse da quelle di altre ideologie, che non sono della Chiesa, per seminare quello che la Chiesa offre: una motivazione di amore. Fratelli, qui non grida un revanscismo, come hanno già detto i vescovi ieri. I nostri interessi sono gli interessi di Dio, che ci dice di amarlo sopra ogni cosa e di amare gli altri come noi stessi. Ed è vero che abbiamo chiesto alle autorità che chiariscano questo crimine: hanno gli strumenti della giustizia e devono chiarirlo. Non accusiamo nessuno. Non anticipiamo giudizi. Attendiamo la voce di una giustizia imparziale, perché nella motivazione dell'amore non può rimanere assente la giustizia, non ci può essere vera pace e vero amore, sulle basi dell'ingiustizia, della violenza, degli intrighi. Il vero amore è quello che ha portato Rutilio Grande alla morte insieme, per mano, a due contadini. Così ama la Chiesa, muore con loro e con loro si presenta alla trascendenza del cielo. Li ama, ed è significativo il fatto che padre Grande è caduto colpito dagli spari mentre camminava portando il messaggio della messa e della salvezza. Un sacerdote coi suoi contadini, che cammina con il popolo per identificarsi con esso, per vivere con lui non un'ispirazione rivoluzionaria, ma un'ispirazione di amore e proprio perché è l'amore quello che ci ispira, fratelli, chissà... se le mani criminali che già sono incorse nella scomunica, stanno ascoltando per radio, in un loro covo, nella loro coscienza, queste parole... Vogliamo dirvi, fratelli criminali che vi amiamo e che chiediamo a Dio il pentimento per i vostri cuori, perché la Chiesa non è capace di odiare, non ha nemici. Sono nemici soltanto coloro che si dichiarano tali; ma essa li ama e muore come Cristo: perdonali, Padre, perché non sanno quello che fanno. L'amore del Signore ispirava l'azione di Rutilio Grande. Cari sacerdoti, raccogliamo questa preziosa eredità. Noi che l'abbiamo ascoltato, che abbiamo condiviso gli ideali di padre Rutilio, sappiamo che era incapace di predicare l'odio, che era incapace di aizzare la violenza.

Padre Rutilio, forse proprio per questo Dio l'ha scelto per tale martirio: perché coloro che lo conobbero, noi che l'abbiamo conosciuto, sappiamo che mai dalla sua bocca è uscito un richiamo alla violenza, all'odio, alla vendetta. Morì amando e, certamente, quando sentì i primi colpi annunciatori di morte, poté dire, come Cristo: perdonali, Padre, non sanno, non hanno capito il mio messaggio di amore. Cari fratelli, in nome dell'arcidiocesi, voglio ringraziare questi collaboratori della liberazione cristiana, padre Grande e i suoi due compagni di pellegrinaggio verso l'eternità, che stanno dando a questa riunione di Chiesa, con tutto il nostro caro presbiterio e con sacerdoti di altre diocesi, in unione con il santo Padre, alla presenza del suo Nunzio, la vera dimensione della nostra missione. Non lo dimentichiamo. Siamo una Chiesa pellegrina, esposta all'incomprensione, alla persecuzione; una Chiesa, però, che cammina serena, perché porta con sé questa forza dell'amore.

Fratelli, salvadoregni, quando in questi momenti cruciali della patria sembra che non esista una soluzione e si vorrebbero adoperare mezzi violenti, io vi dico, fratelli - sia lodato Dio - che nella morte di padre Grande la Chiesa sta dicendo: Sì, c'è una soluzione, la soluzione è l'amore, la soluzione è la fede, la soluzione è sentire la Chiesa non come nemica, la Chiesa come il punto di ritrovo di Dio con gli uomini. Capiamo questa Chiesa, ispiriamoci a questo amore, viviamo questa fede e vi assicuro che c'è la soluzione per i nostri grandi problemi sociali. Questo volevo dire, come ringraziamento, anche in quanto arcivescovo, a tutti quelli che lavorano in questa linea della Chiesa, illuminatori di fede, animatori di amore, prudenti diffusori della dottrina sociale della Chiesa. Grazie, cari fratelli, a tutti quelli che ci sono vicini in quest'ora di dolore.
San Salvador, 14 Marzo 1977

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