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IL CONTENUTO
Gruppi omogenei: contenuto diverso dal contenitore
Carlo Trecarichi Scavuzzo
All'interno del Contenitore – Associativo N.A.Di.R. è nata prima l'idea, successivamente la messa in opera, di un gruppo di sostegno per i genitori delle pazienti che afferiscono presso il Centro, allo scopo di trattare in modo più completo possibile i DCA.
Il gruppo di sostegno per i genitori, da un lato diviene funzionale alla cura delle figlie, dall'altro diviene funzionale proprio per i genitori stessi, poiché inserendo il nucleo familiare all'interno del Contenitore – Associazione, si valorizza la figura genitoriale.
L'inserimento del gruppo genitori diviene dunque funzionale all'approccio metodologico di cura del Centro e si inserisce all'interno dell'Approccio Multimodale Integrato ai Disturbi del Comportamento Alimentare. Infatti, il Contenitore – Associazione interagisce tra il gruppo genitori e la patologia espressa dalle figlie, inserendo il tutto in un contesto di cura più allargato, ossia quello dei disturbi di relazione.
Nel presupposto dell'organizzazione della patologia della figlia, come espressione sintomatologica di un disturbo relazionale che trova le sue basi all'interno della famiglia di origine, la nascita del gruppo genitori rappresenta l'espressione del senso e della coerenza anche dei nostri valori clinici, ossia sull'interazione tra i DCA e i disturbi di relazione, dove i secondi comprendono ed originano i primi: per poter curare i DCA, ci si deve occupare della relazione.
Alcuni anni fa, ci siamo resi conto di come spesso ci si preoccupa soltanto, o prevalentemente, delle figlie che portano la sintomatologia e non delle sofferenze dei genitori.
Si è pensato allora di creare uno “spazio”, un “contenitore”, un “luogo” di ascolto, dove i genitori possano esprimere le loro emozioni, i loro vissuti; un luogo dove anche i genitori vengono accolti e compresi, e soprattutto, non accusati, non colpevolizzati per quello che è successo alla loro famiglia.
Un gruppo che possa permettere loro di esprimere, confrontare ed elaborare i loro vissuti di ansia, rabbia, frustrazione, impotenza e di colpa.
Uno spazio comune, condiviso con altre persone caratterizzate da simili problematiche, per dar loro la possibilità di uscire dall'anonimato di una sofferenza solitamente confinata all'interno della famiglia, perché promotrice di sentimenti di vergogna.
Uno spazio che permetta loro di rendersi conto che altre persone vivono situazioni simili e, quindi, dare loro la possibilità di confrontare e scambiarsi informazioni ed esperienze.
Come dice Arendt (1958),: “Gli uomini in quanto vivono , si muovono e agiscono in questo mondo, possono fare esperienze significative solo quando possono parlare e attribuire reciprocamente un senso allo loro parole…”.
Ecco, dunque, l'esigenza di un gruppo, “Gruppo che ancora prima di esistere nella realtà, si costituisce come oggetto immaginario sia nella mente del conduttore sia in quella dei pazienti”; “Così il gruppo, può essere utilizzato dai suoi membri come spazio contenitore dei loro contenuti psichici trasformati in rappresentazioni, fantasmi ancora non pensati” (Corbella, 2003).
Il gruppo genitori nasce per dare supporto e per prendere in carico l'intero nucleo familiare, soggetto a possibili momenti di rottura e a crisi. Nel sistema familiare infatti, risiede il processo di “maturazione” dei figli: un processo di guarigione produrrà delle modificazioni, modificazioni a carico di tutto il sistema familiare.
Sappiamo che, spesso, il sintomo della figlia funge da catalizzatore per la coppia genitoriale, e serve a creare un'alleanza nei genitori. Onnis (2001) definisce così la famiglia:
“La famiglia è, per ogni individuo, il luogo primario di apprendimento. È il luogo dove si sperimentano e si sviluppano, con esiti individuali diversi, sia i movimenti di individuazione e di differenziazione, sia i processi di acquisizione dell'identità. È dunque possibile che, nel nucleo familiare, possano insorgere difficoltà relazionali ed emozionali capaci, di legare in un circolo vizioso, il paziente ed il suo sintomo, al sistema familiare”.
All'interno del Contenitore – Associazione, attraverso l'Approccio Multimodale Integrato che si esplica nella relazione terapeutica, induciamo e sperimentiamo un nuovo assetto relazionale, nella paziente e nell'ambiente familiare.
Il cambiamento all'interno del nucleo familiare consente e mantiene il cambiamento nella figlia, quindi, se cambia la paziente e l'ambiente familiare, quella che risulta opportunamente modificata è la relazione.
Spesso il lavoro con i genitori è di grande aiuto nel difficile cammino della separazione e della presa di coscienza che la crescita dei figli corrisponde, per i genitori, all'ingresso nella maturità, alla separazione.
Infatti, genitori e figli condividono lo stesso “campo psichico familiare” del quale è difficile, per tutti, differenziarsi (Lo Verso G., 2006).
In questo caso lavoriamo su più livelli, su due fronti, per una sinergia d'azione che modifica l'assetto relazionale del nucleo familiare. Infatti, nella cura dei figli, i genitori sono costretti a mettere in discussione il proprio sistema relazionale e, dove e quando possibile, rivedere elementi della propria storia personale e di coppia nella fase che precede l'emergere dei sintomi da DCA nella figlia.
Con questi presupposti, e per evitare il rischio di un rifiuto aprioristico da parte dei genitori verso un'attività psicologica nei loro confronti, ci siamo posti subito nella condizione di chiarire in cosa consiste il gruppo di sostegno psicologico a loro proposto. Ossia, non si tratta di un gruppo psicoterapeutico in senso stretto poiché non ha sistematici obiettivi di guarigione sintomotologica o di trasformazione di strutture psichiche problematiche ed invivibili (Lo Verso G., 2006). Si tratta piuttosto di un gruppo supportivo o di sostegno con lo scopo di “accompagnare” i genitori nella loro difficile funzione.
Le coppie genitoriali tendono frequentemente a “dimettersi” dalle loro difficoltà relazionali ed a non identificarsi più come persone con i loro problemi ma esclusivamente come genitori: questo accentua inconsciamente il legame “invischiante” che i figli vivono con loro.
L'utilizzo del gruppo a conduzione psicodinamica permette una condivisione delle difficoltà, una evidenziazione ed uno svelamento delle dinamiche invischianti rendendo possibile intravedere la possibilità di modalità relazionali diverse e più adattive (Cigoli et al., 1998).
Infatti, il gruppo ha la possibilità di attivare o ri-attivare, attraverso il confronto tra i partecipanti, lo scambio delle esperienze, la condivisione delle difficoltà, la mobilitazione di risorse emotive nel rapporto con i figli, l'accoglimento degli aspetti problematici peculiari della specifica condizione in cui si trovano, la valorizzazione degli aspetti positivi dell'esperienza quotidiana (aspetti che vengono solitamente sommersi da quelli deludenti e angoscianti), il recupero e il sostegno della soggettività di ognuno (sia esso genitore o figlio) e, complessivamente, una maggiore comprensione delle dinamiche relazionali presenti nel rapporto familiare (Pezzoli F., 2006).
Sull'omogeneità
Spesso, all'interno degli interventi terapeutici di carattere psicodinamico ed in particolare nel campo dei gruppi, ci troviamo a rapportarci con il termine “omogeneo”: l'etimologia della radice “omo” deriva dal greco “homo” (simile, uguale, nelle parole composte) e l'etimologia del termine significa radice, primo elemento di molti termini tecnici e scientifici, per definirne, appunto, una somiglianza di
 forma
 natura
 provenienza
(Diz. etimologico Zanichelli, 1999)
Sviluppando ed estendendo maggiormente il significato della parola “omogeneo” nella dicitura propria dell'ambito psicologico, con “omogeneo“ intendiamo: “della medesima natura, del medesimo genere. Affine , analogo , simile . Che è composto di parti affini tra loro, aventi le stesse proprietà e qualità. Fondato sull'armoniosa rispondenza, sulla coesione e sull'accordo delle parti costituenti (Gedea, 2004).
Prendendo quindi in esame il concetto di “omogeneità”, notiamo che questa potrebbe corrispondere a diversi livelli, potrebbe avere diversi significati, non solo costitutivi.
“Omogenea” può essere la diagnosi che accomuna i membri del gruppo ad esempio nel caso di una particolare patologia somatica, psichica o psicosomatica; “omogenea” può essere la richiesta che viene posta dai possibili utenti all'ideatore del gruppo, come, ad esempio, da parte di genitori di figli disabili, malati oncologici, persone che hanno subito eventi traumatici e che necessitano un'elaborazione, membri di uno stesso gruppo di lavoro che propongono una medesima richiesta formativa; “omogenea” può essere la finalità o l'obiettivo specifico da raggiungere, come spesso si riscontra nei membri di un'associazione per l'adozione o l'affidamento, nella riabilitazione dopo un intervento, nel sostegno per le donne in gravidanza; “omogenee” possono essere anche i cambiamenti intrinseci alle fasi di vita da affrontare, come l'adolescenza, la genitorialità, il licenziamento o la vecchiaia.
A prescindere dalla diagnosi, dalle finalità o dalle competenze attese, vi è un minimo comune denominatore nel pensiero dell'ideatore, una matrice comune che ne avvicina i membri, dona senso e crea la fondazione del gruppo.
Il nostro Gruppo, prima pensato nella sua omogeneità per i genitori, trova le fondamenta costitutive all'interno del Contenitore – Associazione, inserendosi in modo naturale all'interno dell'Approccio Clinico Multimodale Integrato ai Disturbi del Comportamento Alimentare, i quali, a loro volta, sono compresi all'interno dei Disturbi di Relazione. Come già specificato, sosteniamo che per poter curare i DCA, ci si debba occupare della relazione.
Funzione del gruppo omogeneo
La formazione del gruppo omogeneo si rivela preziosa nella cura, nell'accompagnamento di una particolare fase della vita, nella prevenzione del burn-out e nella costruzione della qualità della vita dei partecipanti.
I gruppi omogenei, infatti, nascono per fornire uno spazio per la crescita emotiva, il rafforzamento e il sostegno psicologico all'identità di persone sofferenti, spesso intese come popolazioni predeterminate ad un certo livello sociale e generatrici di un'identità specifica: malati organici, anoressiche, tossicodipendenti, disabili fisici e psichici.
Una particolare forma del gruppo omogeneo, definito “gruppo monotematico” risulta particolarmente funzionale ed è spesso utilizzato negli interventi con persone che, per la loro prossimità professionale o familiare, condividono tematiche emotive spesso difficili da gestire e cariche di dolore. In tutti questi casi la presenza di un oggetto comune, l'esperienza emotiva condivisa, attiva nel piccolo gruppo specifici fattori terapeutici.
Infatti, le persone più indicate per i gruppi omogenei, sono caratterizzate da situazioni patologiche o sociali esistenziali che contengono componenti di inadeguatezza vissuta come emarginante e in un certo senso vergognosa (Corbella S., 2004). Nel Gruppo Genitori, dove la monotematicità è data dalla patologia delle figlie, abbiamo osservato come il senso di inadeguatezza e di vergogna, di cui parla Corbella, siano vissuti come emarginanti rispetto alla loro condizione di vita.
Il gruppo omogeneo, composto da persone accomunate tra loro, è il più adatto nel trattamento di queste categorie, poiché attenua quella particolare sensibilità alle differenze che potrebbe stimolare la conflittualità relazionale e le tensioni narcisistiche: il gruppo omogeneo, infatti, facilita lo sviluppo della coesione e dello spirito di gruppo, oltre che contenere lo scetticismo distruttivo di chi ha bassa autostima e scarso senso di valore personale (Zucca Alessandrelli C., gli argonauti).
Per i membri del Gruppo Genitori, infatti, è stato più facile e più sicuro il potersi confrontare tra persone che conoscono e condividono le stesse problematiche, tra persone che portano sulle spalle lo stesso vissuto di vergogna: infatti hanno iniziato immediatamente a “raccontarsi”, quasi come un'esplosione di tanti vissuti e sofferenze fino a quel momento celati.
Nel modello gruppoanalitico, quando assistiamo alle prime fasi di un gruppo eterogeneo, l'invito allo scambio comunicativo può suscitare sentimenti di timidezza ed imbarazzo che possono inibire la disponibilità nell'affrontare alcune particolari tematiche interpersonali.
Nei gruppi omogenei, al contrario (come abbiamo osservato nel Gruppo Genitori), il processo può svilupparsi in direzione opposta: la comunicazione verbale e non verbale può manifestarsi spontaneamente, in modo fluente e questo perché i partecipanti possono capirsi anche attraverso l'esperienza condivisa e avvalendosi della possibilità dell'intuito e dell'empatia, arrivando a raccontare anche problemi o vissuti personali di norma tenuti segreti. (Robi Friedman, 2004).
Questo è per i membri di un gruppo omogeneo il primo livello di comunanza e condivisione, garantito dall'appartenenza al gruppo stesso.
Caratteristiche del gruppo omogeneo
I gruppi omogenei sono caratterizzati dalla facilitazione nei confronti dei movimenti di fusione-condivisione a tutti i possibili livelli e da una maggior lentezza e resistenza nei confronti dei movimenti di separazione-individuazione: vige l'istanza dell'uguaglianza (Corbella S., 2004) .
Abbiamo evidenziato, già a partire dai colloqui di preparazione, l'omogeneità del gruppo: questo per motivare la partecipazione al lavoro di gruppo e conseguentemente per far nascere il senso di una comune appartenenza, che si è rivelata successivamente nei processi di reciproca identificazione fra tutti i membri.
Nell'immaginario collettivo dei membri tende a prevalere la fantasia del gruppo come un tutto indifferenziato, un tutto allo stato fusionale, ma proprio per questo immediatamente e naturalmente recettivo rispetto ai bisogni condivisi da tutti.
Questa situazione iniziale, se da una parte può rendere meno difficile il parlare di sé – perché proprio l'aspetto che fa sentire isolati, diversi ed esclusi (sia questo una malattia, uno stato sociale od esistenziale vissuto come emarginante, o un trauma subito) sarà in questo particolare contesto l'elemento aggregante – dall'altra rischia di creare una situazione di stallo, un “embrassons-nous” mortifero dove chi tenta di differenziarsi viene sentito come un potenziale persecutore e a volte reattivamente trasformato in capro espiatorio (Corbella S., 2004).
Il fattore omogeneità produce un'accelerazione del tempo , funge da vettore, ossia indirizza il gruppo a sperimentare stati di fusionalità, in modo spesso così immediato da consentire più facilmente e in tempi relativamente brevi lo sviluppo di processi di rispecchiamento e di riconoscimento reciproco in un oggetto condiviso. Infatti, abbiamo osservato come proprio il fattore omogeneità ha prodotto all'interno del Gruppo Genitori un'accelerazione dei processi di rispecchiamento tra i membri, ed ha creato da subito un forte senso di appartenenza alla condizione che il gruppo rappresenta.
I membri di un gruppo omogeneo, nel momento in cui hanno la possibilità di recuperare un senso di identità collettivo più integro e non marginalizzato, riescono a pensarsi e a rappresentarsi come una delle identità possibili tra una molteplicità di alterità. Questo sembra costituire un importante elemento terapeutico in quanto la possibilità di vivere l'esperienza dell'omogeneità restituisce all'individuo “marginale” il senso dell'appartenenza e la percezione che il destino e le contingenze, che lo hanno determinato, siano condivisibili nell'esperienza di gruppo. Può nascere e rafforzarsi in questo modo un forte senso di legittimità e una ragionevole aspettativa di trasformazione (Girelli R., Lombardozzi A., 2004).
Sul piano dell'esperienza affettiva del gruppo, e del suo senso di sé, l'elemento omogeneo acquisisce anche un valore di legittimazione di ciò che esiste, in quanto è ritenuto speciale e tale da formare una unità particolare, ad opera di chi lo ha fondato. Questo crea legami speciali fra i membri del gruppo, e con l'analista, il quale è sentito come “facente parte”, e “omogeneo” a sua volta (Marinelli S., 2004).
La monosintomaticità facilita l'uscita dalla solitudine angosciante e alienante, del sentirsi non umani o addirittura mostruosi (Neri C., 1995) e favorisce la certezza di sentirsi accettati e compresi.
L'evoluzione dell'apparato psichico di un gruppo nato omogeneo, potrebbe trovare radici nel fatto che la sua identità non è sentita come un obiettivo da scoprire, ma che essa è già fornita da una determinata condizione di appartenenza. Tale appartenenza, quindi, ha un carattere fondante e costituisce un'identità istituita e forte (Kaes R., 1994).
Il termine temporale all'omogeneità
L'omogeneità all'interno del gruppo può evolversi verso l'instaurarsi di stati di eccessiva fusionalità tra i membri; questo fattore può divenire ristagnante per i processi evolutivi di individuazione e separazione: il modo più facile ed utile per controbilanciare tale rischio è dato dall'utilizzo in senso terapeutico di un limite temporale.
La consapevolezza della durata del gruppo, comunicata ai membri già a patire dalla formazione del gruppo stesso, può favorire l'elaborazione della separazione, del lutto dal gruppo, ed è un fattore che andrà a stimolare il movimento verso l'individuazione e la separazione, riducendo inevitabilmente la possibilità di stasi, a volte difensiva rispetto al cambiamento, che caratterizza l'aria della fusionalità.
Il lavorare sul “qui e ora” e al contempo valorizzare l'intenzionalità verso il futuro grazie alla pre-determinazione del termine, promuove un “vettore intenzionale” funzionale ad ottenere una mobilizzazione precoce di processi terapeutici (Fasolo F., 1992).
Il senso del limite offre la possibilità di esplorare a diversi livelli, la dimensione temporale in tutte le sue sfaccettature, dalle origini arcaiche al suo significato simbolico, ed offre anche l'opportunità di affrontare temi come la separazione, l'individuazione, la solitudine e la morte. Temi che inevitabilmente, con modalità diverse, vengono affrontati in ogni gruppo ma che, nel contesto specifico di un gruppo a tempo determinato, si presentano con particolare evidenza e pregnanza (Corbella S., 2003).
Infatti, le caratteristiche risultanti da alcuni aspetti omogenei e da un predeterminato limite temporale appaiono essere complementari e permettono sinergicamente un utilizzo adeguato della dialettica specificatamente gruppale tra fusione e individuazione. La dialettica gruppale consente di fruire della condivisione, coesione e coerenza, che caratterizzano positivamente i diversi livelli fusionali e pone le basi per presentificare la separazione fin dalla prima seduta, grazie al predefinito termine temporale (Corbella S., 2004).
Omogeneità come contenitore
Ipotizzando che l'omogeneità del gruppo equivalga ad un “contenitore” di tipo specializzato, il concetto di contenitore-contenuto, proposto da Bion come una funzione di attività reciproca vitale, di uno scambio trasformativo, che si sviluppa fra l'analista e il gruppo, così come fra la mente della madre e quella del bambino o anche fra l'apparato mentale e i pensieri, può essere messo in relazione con la funzione dell'omogeneità del gruppo (Marinelli S., 2004).
Spesso, infatti, lo spazio del gruppo omogeneo può “contenere” degli stimoli, dei vissuti e delle fantasie talvolta così dolorose da non potere essere pensati all'interno dello spazio gruppale: il gruppo omogeneo assurge in questo modo la funzione di contenitore, e permette l'elaborazione necessaria per modificare il contenuto trasformandolo in pensiero.
Il gruppo può essere dunque utilizzato dai suoi membri come spazio contenitore dei contenuti psichici non ancora pensabili e non pensati, perché proprio in questo particolare contesto può avere luogo il passaggio da stati psichici in pensieri organizzati.
Questo passaggio-trasformazione si è strutturato lentamente lungo la prosecuzione del Gruppo e si è realizzato grazie alla funzione di contenitore del Gruppo, il quale è a sua volta contenuto ed inserito in un Centro ed in un programma più ampio di crescita e di sviluppo, quale il N.A.Di.R.
Nello spazio fisico gruppale si esprime uno spazio psicologico collettivo, conscio preconscio ed inconscio, fluido e influenzato dai vissuti dei singoli componenti e dal clima emotivo dominante nel qui e ora del singolo incontro. Lo spazio gruppale è dunque sia uno spazio fisico reale, sia una rappresentazione consensualmente validata dai partecipanti che rispecchia il loro mondo interno ed i confini, che possono a loro volta essere proiettati nel gruppo.
Proprio per questa ragione lo spazio gruppale si caratterizza per la potenzialità di indifferenziarsi regressivamente sotto la spinta di emozioni intense e condivise in uno spazio primitivo e fantastico, i cui contenuti sono oggetti interni piuttosto che persone reali (Corbella S., 2004).
Infatti, la costante di qualsivoglia tipo di gruppo analiticamente orientato resta l'obiettivo “di utilizzare il gruppo come campo mentale che aumenti la mentalizzazione del paziente. Per mentalizzazione intendiamo la capacità di simbolizzazione, di collegare i propri sintomi a trame di pensiero, di creare strutture mentali aperte a nuove significazioni” (Pontalti et al., 2000).
Ruolo terapeutico e gruppo a tempo indeterminato
Kaes (1994) ha descritto la situazione omomorfica-isomorfica che si sviluppa nel gruppo, come un processo che aiuta la spinta evolutiva e di individuazione, con ripetuti e progressivi movimenti di oscillazione. La centralità omogenea aumenta l'importanza di questo processo e gli conferisce un valore specifico.
Se il gruppo omogeneo non è a termine, come il Gruppo Genitori, ma è nato in un contesto nel quale continuerà la sua vicenda senza un limite temporale, mentre il processo di individuazione dei partecipanti procede, la relazione del gruppo con il campo degli elementi omogenei si differenzia, e l'omogeneità è vista con minore coinvolgimento, come un elemento differenziabile e storicizzabile. Tuttavia è utile seguire le sue vicissitudini, e vederlo come un elemento specifico, che mantiene una propria traccia nello svolgimento della vicenda del gruppo.
L'omogeneità diviene come una matrice, alla quale è possibile fare ritorno nelle situazioni di turbolenza e di difficoltà, e da cui è possibile ripartire per un nuovo ciclo di elaborazioni: la “crisi omogenea” si trasforma e trova nuove risposte, come se fosse una nicchia particolare, o una posizione del gruppo, nella quale confluiscono gli assunti di base, la loro elaborazione e risoluzione.
Il superamento di esperienze di abbandono della condizione omogenea ,come per esempio l'inserimento di nuovi membri o l'uscita di altri dal Gruppo Genitori, è un segnale di vitalità e maturità del gruppo (Marinelli S., 2004).
Il ruolo strategico del terapeuta, nei gruppi omogenei, è quello di assicurare una funzione di “prospettiva disomogenea” volta a mantenere come potenziale, e quindi attivabile, anche la parte disomogenea della mente, in quanto nucleo per consentire al gruppo e ai singoli di pensare pensieri mai pensati.
E' un contenitore diverso dal contenuto.
Il contenuto è l'elemento unificante del gruppo che rende il gruppo omogeneo, ed il contenitore è quell'aspetto disomogeneo, che unito al processo di individuazione (maggiormente accellerato dall'introduzione di un termine temporale, o da abbandoni e inserimenti di nuovi membri in gruppi senza un termine temporale), rende possibile la tollerabilità ed accettabilità delle differenze interne ed esterne al gruppo, oltre che l'acquisizione di una rinnovata identità extra-monosintomatica e monotematica.
Appare dunque chiara la finalità del gruppo omogeneo per Genitori, ossia quella di dis-identificare i soggetti dal ruolo familiare invischiato e dal sintomo portato dalle figlie (mono-sintomatico) per ridare voce alla loro storia familiare ed alla loro identità come unica ed irripetibile e non collegata all'identità collettiva di appartenenza ad un gruppo unificante come quello in questione, oltre che permettere loro di sperimentare ed acquisire nuove modalità relazionali all'interno della famiglia.
BIBLIOGRAFIA:
Diz. etimologico Zanichelli, 1999
Gedea, 2004
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Fasolo F.: La fine della presa in carico , Psichiatria generale e dell'età evolutiva, 30, 1992.
Foulkes S. H.: Il gruppo come matrice della vita mentale , in Terapia moderna, 56, 1974.
Friedman R.: intervista , In Corbella S., Girelli R., Marinelli S. (a cura di): Gruppi omogenei , Borla, Roma, 2004.
Kaes R. Il gruppo e il soggetto del gruppo (1993), Tr. it. Borla, Roma, 1994.
Marinelli S.: funzione dell'omogeneità nel gruppo , In Corbella S., Girelli R., Marinelli S. (a cura di): Gruppi omogenei , Borla, Roma, 2004.
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Pontalti C., Costantini A., Sparvoli M., Pontalti I., Vincenzoni P.: Problemi nella fondazione di un gruppo a tempo limitato , In Psicoterapia di gruppo a tempo limitato, McGraw-Hill, Milano, 2000.
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Pezzoli F.: l'importanza del dispositivo nella conduzione di gruppi di genitori, In Pezzoli F. (a cura di): gruppi di genitori a conduzione psicodinamica , FrancoAngeli, Milano, 2006.
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